C’è una schiera di invisibili alla pandemia: lavoratori precari, autonomi e ragazzi con contratti a termine. Tutte persone accomunate da un destino beffardo: a causa della pandemia si sono ritrovati improvvisamente senza lavoro e molti di loro sono diventati parte dei “nuovi poveri”.
Come racconta La Stampa che raccoglie alcune testimonianze di chi ha perso il suo stipendio, su Facebook sono in tanti a sfogarsi. “Ho perso il lavoro a 55 anni, non posso accedere al reddito di cittadinanza perché ho preso la Naspi. Promettono, e poi nulla”, si legge. O ancora, “a marzo ancora si lavorava, poi abbiamo chiuso per il lockdown. A maggio abbiamo riaperto per due settimane. Poi richiuso. Era chiara la fine che avremmo fatto”.
A chiudere i battenti anche molte attività storiche, come la libreria L’Orsa Maggiore, nel quartiere periferico di Barriera di Milano. “Più che un negozio, è stato un rifugio”, afferma Adriana Romeo, presidente dell’associazione Ascoriuniti.
“Noi lavoriamo in una filiera che va a singhiozzo abbiamo il 60% dei dipendenti in cassa integrazione e questo almeno sta mitigando i costi ma il problema è amplificato per i nostri agenti, che non hanno sussidi”, afferma a La Stampa Claudio Ramello che lavora per un’azienda specializzata in forniture per bar e ristoranti.
In sofferenza anche le palestre: “Siamo stati trasformati in precari che vivono di espedienti tramite servizi online indegni delle nostre qualifiche professionali”, afferma il gestore di uno dei tanti centri sportivi chiusi da mesi.