I costi della previdenza sociale sono aumentati nell’anno più duro della pandemia: dal 12,88% del Pil del 2019 saliranno al 14,48% nel 2020. Riscenderanno quest’anno al 14,11%. È la stima del centro studi e ricerche Itinerari previdenziali contenuti nell’ottavo Rapporto presentato alla Camera dei Deputati.
“Stimiamo per il 2020 una perdita di occupati pari a 700mila tra i non protetti dal blocco dei licenziamenti, cioè lavoro autonomo e contratti a termine. A questi si devono aggiungere 100mila nuovi pensionati nel 2020, in gran parte per Quota 100, anche se ci aspettavamo di più da questa misura”, spiega a Repubblica Alberto Brambilla, presidente di Itinerari previdenziali.
Come racconta Repubblica, nel 2019 l’Italia ha speso 230 miliardi per le pensioni, di cui 209 coperti dai contributi versati dai lavoratori e 21 miliardi in deficit, messi dallo Stato, un livello più alto della media dei primi dieci anni del Duemila. Causa Covid, il disavanzo crescerà a 33 miliardi, nel 2021 scenderà a 31 miliardi e dal 2022 a 26 miliardi.
“Spendiamo molto, ma spendiamo male: la spesa si allarga e lascia sempre buchi, perché gli interventi sono estemporanei. Dal lato previdenziale abbiamo invece bisogno di certezze che un’Ape sociale forte e strutturale potrebbe dare, con la fine di Quota 100, assicurando un’uscita anticipata alle categorie fragili. Non tutti i lavori sono uguali”, sostiene Tommaso Nannicini, economista e senatore pd.