L’arresto di Aung San Suu Kyi in Birmania, alla vigilia del giuramento del Parlamento per quello che doveva essere il ritorno della democrazia, è l’ennesimo caso di repressione di una voce dissidente. È l’ultimo episodio esemplare di una pratica ormai diffusa nei paesi asiatici: mettere a tacere le donne che vogliono far valere le loro idee con dei pretesti giuridici.
È la storia di Zhang Zhan, che ha 37 anni ed è un avvocato di Shanghai. Una volta scoppiata la pandemia, ha deciso di lasciare il suo studio e si è recata a Wuhan, ha intervistato medici e poliziotti, ha mostrato in alcuni video come si viveva realmente durante la pandemia in Cina e per questo è stata condannata: quattro anni di carcere per “aver creato guai e cercato di litigare”.
Come racconta Repubblica che fa un quadro delle voci femminili dissidenti messe a tacere, anche la giornalista filippina Maria Ressa è stata condannata con un pretesto. Dopo vent’anni alla Cnn, ha fondato il giornale online Rappler. Nominata dal Time nel 2018 persona dell’anno e candidata quest’anno al premio Nobel per la pace, è stata accusata di “diffamazione online” per un articolo su un imprenditore. Per il suo avvocato “si tratta di una campagna sempre più trasparente per chiudere il giornale, così come hanno fatto con le principali emittenti del Paese”. Condannata a 100 anni di prigione per mettere a tacere la sua voce critica nei confronti del presidente Rodrigo Duterte.
Si tratta di donne accomunate dal voler affermare le loro idee, che però non piacciono ai regimi autoritari dei loro paesi che non fanno altro che reprimerle. È stato il destino iniziale anche di Asia Bibi. Contadina cattolica pakistana, è stata vista dalla sua vicina con cui era in conflitto per una capra ferita, mentre beveva acqua da un bicchiere di alluminio. È stata aggredita perché ai cristiani non era permesso bere dai bicchieri dei musulmani. Inizialmente è stata condannata all’impiccagione e messa in isolamento in attesa dell’esecuzione. Ma grazie ad Amensty International e Human Rights Watch e alla richiesta di clemenza di Papa Benedetto XVI, la sentenza è stata capovolta e nel 2018 Asia Bibi è stata assolta.
La storia di Asia Bibi è purtroppo ancora un’eccezione che fa sperare però che sull’autoritarismo di alcuni leader, possa presto prevalere il rispetto dei diritti di opinione, di informazione e di culto.