L’arresto della leader della Birmania Aung San Suu Kyi ha sconvolto l’opinione pubblica e i leader di tutto il mondo, in primis quello americano che ha condannato un ulteriore attacco alla democrazia. Sin dall’inizio si sapeva che il golpe avrebbe avuto implicazioni anche sul rapporto Usa-Cina.
È proprio la Cina che ieri ha bloccato una bozza di dichiarazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che condannava il colpo di Stato militare in Birmania. È mancato l’accordo proprio a causa del veto di Pechino che ha diritto di voto in quanto membro permanente. Non è infatti la prima volta che il Dragone interviene in tal senso: nel 2017, con la crisi dei Rohingya, aveva bloccato ogni tipo di riunione sul tema.
Come racconta l’Ansa, i ministri degli Esteri del G7 si dicono tutti molto preoccupati: “Chiediamo ai militari di porre immediatamente fine allo stato di emergenza, ristabilire il potere del governo democraticamente eletto, liberare tutti coloro che sono stati ingiustamente detenuti e rispettare i diritti umani e lo stato di diritto”, si legge in un comunicato diramato da Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Giappone.
Intanto Suu Kyi è in carcere con detenzione provvisoria fino al 15 febbraio con l’accusa di aver violato una legge sull’import-export e rischia due anni per possesso illegale walkie-talkie, che avrebbe utilizzato senza il consenso delle sue guardie del corpo.