Attualità e politica

Arcuri e la gestione dell’emergenza: cosa non ha funzionato

Con lo scoppio della pandemia si è resa necessaria una figura di coordinamento che potesse far fronte all’emergenza e alle esigenze degli ospedali e del personale sanitario. E’ stato conferito questo ruolo a Domenico Arcuri che, con il decreto del 17 marzo 2020, può acquistare ogni bene indispensabile per contenere la diffusione del virus. “Tutti gli atti sono sottratti al controllo della Corte dei Conti, fatti salvi gli obblighi di rendicontazione. Per gli stessi atti la responsabilità contabile e amministrativa è limitata ai soli casi in cui sia stato accertato il dolo del funzionario o dell’agente che li ha posti in essere o che vi ha dato esecuzione”, si legge nel decreto.

Milena Gabanelli fa un’analisi sul Corriere della Sera sui poteri e sui diversi errori compiuti da Domenico Arcuri in questi quasi 12 mesi. Da 13 anni è amministratore delegato di Invitalia, società posseduta dal ministero dell’Economia, che si occupa di sviluppo del Mezzogiorno, aziende in crisi, bonifiche, accoglienza migranti, digitalizzazione PA, ricostruzione terremoti, dall’Ilva al salvataggio della Banca Popolare di Bari. Di fatto, Arcuri non ha esperienza in sanità ma gli viene concessa la facoltà di avvalersi di soggetti attuatori e società in house.

Guanti, camici, tamponi: le spese di Arcuri

Il primo nodo con cui Arcuri si è dovuto confrontare è stato quello dell’approvvigionamento di guanti, camici, respiratori, gas medicali, reagenti, siringhe e letti in terapia intensiva. Ci hanno dovuto pensare in buona parte le Regioni. Per esempio, Arcuri ha speso 65,4 milioni in guanti di vinile e nitrile e le centrali acquisti hanno dovuto sopperire per 138 milioni; sempre le centrali regionali hanno speso 1,4 miliardi per camici, calzari, cuffie e visiere contro i 338 milioni del Commissario. Ancora, Arcuri ha coperto la spesa del 57% di respiratori, monitor e letti, mentre per i tamponi e per i reagenti solo del 49%.

Al 30 dicembre 2020 il Dataroom dall’Osservatorio MaSan (Management acquisti e contratti in Sanità) attesta una spesa di 5,5 miliardi per l’emergenza sanitaria. Di questa cifra, due miliardi sono stati spesi dalle Regioni, 400 milioni da Consip, 300 milioni dalla Protezione Civile, mentre il Commissario Arcuri ha speso 2,8 miliardi, di cui 1,8 miliardi sono stati usati per mascherine chirurgiche, Ffp2 e Ffp3.

Mascherine: difficili da reperire e con costi alti

Come racconta la Gabanelli, proprio quello delle mascherine è un tasto dolente. Nei primi mesi dell’emergenza, di mascherine non ce n’erano a sufficienza, dunque gli italiani hanno dovuto accettare i costi, anche molto alti, di quelle poche trovavano in circolazione. L’11 settembre Arcuri ha firmato un accordo per 100 milioni di pezzi con la YQT Health Care B.V., società olandese costituita il 16 marzo 2020 e controllata dalla Bydcare Eu, filiale europea della cinese Byd. Il prezzo pagato è di 105 milioni di euro, ovvero 1,05 euro a mascherina. Dopo pochi giorni, l’azienda ospedaliera Ospedali riuniti Marche Nord di Pesaro ha avviato una procedura negoziata da 756 mila euro per l’acquisto di 2 milioni di Ffp2, al costo di 37 centesimi l’una. Prezzo nettamente inferiore, su 100 milioni di pezzi il commissario ha pagato 65 milioni in più. Anche la Regione Veneto, per non rischiare di rimanere sfornita, ha acquistato un piccolo lotto, al costo di 90 centesimi, sempre più basso rispetto a quello concordato dal Commissario all’emergenza.

Terapie intensive al collasso

Le terapie intensive sono arrivate ben presto al collasso, purtroppo per l’alto numero di pazienti. Il 27 luglio Invitalia ha pubblicato un bando per le aziende che producono ventilatori e altri macchinari necessari, affinché queste si rendessero disponibili per essere poi selezionate. Il 31 luglio le Regioni hanno comunicato le loro necessità ma l’elenco dei fornitori con i quali le diverse aziende sanitarie avrebbero dovuto negoziare, è stato reso pubblico da Arcuri solo il 2 novembre, oltre cinque mesi dopo e nel bel mezzo dell’emergenza.

Il mistero delle siringhe

È ormai nota la storia delle siringhe di precisione “luer lock” che estraggono sei dosi invece che cinque dalle fiale di vaccino Pfizer. Come racconta la Gabanelli sul Corriere della Sera, Arcuri ne ha disposto un ordine da 157 milioni per 10 milioni di euro. La Corte dei Conti è ora al lavoro per capire se la medesima funzione poteva essere svolta da siringhe standard, più facilmente reperibili e con un costo decisamente inferiore.

Redazione

 

 

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