La battaglia contro l’olio di palma ha messo alla prova l’industria alimentare italiana, in particolare quella dolciaria. Le aziende sono state accusate di concorso di colpa nel disboscamento delle foreste vergini, in particolare quella del Borneo. Sono state diverse le strategie adottate: Ferrero ha deciso di utilizzare quello sostenibile certificato Rspo (principale standard a livello internazionale), altri come Balocco, Galbusera o Barilla hanno deciso di sostituire l’olio di palma con altri olii vegetali, tra cui quelli di girasole e di soia.
La sostenibilità non è comunque garantita: l’olio di semi di girasole con bollino Iscc Plus (certificazione a livello internazionale) in Italia è solo il 4,5% di tutto quello utilizzato dall’industria alimentare. Su 550mila tonnellate di olio di girasole raffinato, sono certificate solo 25mila tonnellate. Per quello di soia esiste la Roundtable responsible soy (Rrs) che però certifica solo 4,5 milioni di tonnellate sostenibili sui 350 milioni di tonnellate prodotti.
A ricevere invece grande riconoscimento è diventato proprio il nemico iniziale, l’olio di palma, che ha ricevuto la certificazione di sostenibilità per il 92% di tutta la mole utilizzata nell’industria alimentare, come racconta il Sole 24 Ore. Secondo i dati Iri e Rspo, la quota a valore delle imprese dolciarie che continuano ad usare olio di palma è il 40%, dunque più della metà delle aziende ha preferito altri olii, che non sempre sono sinonimi di sostenibilità.