Attualità e politicaSui tacchi di AC

Nizza e le responsabilità del Governo italiano. Not in my name.

Siamo in guerra, lo è ciascuno di noi, e il Nemico non è invisibile, al contrario lo vediamo nel sangue innocente che scorre lungo le strade delle città europee, nelle redazioni dei giornali o dinanzi al sagrato di una chiesa. I fatti di Nizza ci riguardano da vicino perché il terrorista tunisino che ha sgozzato due persone e assassinato una terza lo avevamo in casa, è arrivato sulle coste siciliane illegalmente, su un “barchino”, lo abbiamo accolto, abbiamo registrato le sue generalità, lo abbiamo fotosegnalato, lo abbiamo messo su una nave quarantena (in tempi di Covid, ci sembra il minimo sindacale), poi lo abbiamo spedito a Bari e da lì con un foglio di via ci siamo illusi di aver “rimosso” il problema. Succede ogni giorno, con gli sbarchi che non accennano ad arrestarsi e il pericolo che proviene dal nord Africa, dalla Libia e dalla Tunisia, dove gli sconfitti del sedicente Stato islamico cercano la Rivincita contro l’Occidente libero. E noi, anziché innalzare il livello di protezione dei nostri confini, ci rendiamo vieppiù permeabili, come se il rispetto della legge valesse soltanto per gli italiani e le italiane a cui è fatto obbligo di restare a casa la sera (per poi viaggiare su autobus affollati all’indomani).

Il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese devono spiegarci com’è potuto accadere, com’è possibile che un tunisino senza alcun diritto di restare in Italia abbia potuto muoversi indisturbato sul territorio nazionale fino a comparire, con un coltello in mano, nella chiesa di Notre-Dame a Nizza. Non è la prima volta che accade: vi ricordate Anis Amri che a Berlino, nel novembre 2016, trucidò 12 innocenti? E i fratelli Hanachi che a Marsiglia, nell’ottobre del 2017, fecero due morti? Questi maledetti invasati erano sbarcati sulle coste siciliane, sempre qui, nell’accogliente Italia, dove entri e ti mimetizzi fino a renderti irrintracciabile. Il rumore arriva assordante, al grido di Allah Akbar, quando è troppo tardi, quando la donna di Nizza, ferita alla gola, consegna le sue ultime parole a uno sconosciuto nel bar dove ha cercato rifugio (“Dite ai miei figli che li amo”), il rumore arriva assordante, con l’identità di questi maledetti fanatici, quando l’attentato si è consumato, il delitto è compiuto, e i capi di stato e di governo si esercitano nella retorica stantia del giorno dopo. Eh no, io non ci sto, non le voglio più le vostre parole gonfie di ipocrisia, pretendo serietà, voglio sentirmi sicura nel mio paese. La sicurezza non è di destra o di sinistra: la sicurezza è un diritto, punto.

Non mi importa se qualcuno proverà ad additarmi come islamofoba o razzista: fate pure, la vostra incoscienza è pari soltanto alla cattiva coscienza di chi dice che, in fondo, i giornalisti di Charlie Hebdo se la sono cercata, esattamente come il professore Samuel Paty, certe questioni meglio lasciarle da parte. Con lo smantellamento dell’Isis, il reclutamento e l’addestramento di questi cani sciolti si è spostato nel nord Africa dove i giovani combattenti sgozzano ovini nell’attesa di poter decapitare, un giorno, l’infedele. In una rete che dalla propaganda web s’insinua in quegli pseudo luoghi di culto e a quelle pseudo moschee finanziate da Turchia, Qatar, Marocco. E’ l’ “Islam consolare”, come lo ha definito il presidente Macron. Ma l’Italia, al pari di Francia, Spagna, Germania o Gran Bretagna, non può essere considerata soltanto un posto dove cercare una vita migliore, una casa e un reddito. L’Europa e, più in generale, l’Occidente sono anche un sistema di valori condivisi, un comune sentire, una tradizione cristiana e laica che pone al centro il rispetto della vita umana, la libertà, lo stato di diritto, la parità tra uomo e donna. Così come i cittadini sono tenuti a rispettare la legge, ugualmente chi arriva nel mio paese deve farlo soltanto se ha i titoli richiesti. Non esiste un fantomatico diritto di entrare in Italia, non siamo una terra di nessuno. Si combatte forse una guerra a Tunisi? E allora perché non si pone fine, una volta per tutte, all’ipocrita meccanismo per cui non esiste irregolare che non abbia in tasca il foglio di via che lo obbliga a lasciare autonomamente il paese entro sette giorni. Ovviamente ciò non accade mai. Questo sistema non funziona, è marcio, come sono marci coloro che piangono le vittime del giorno dopo salvo poi fare mille distinguo su Israele e la difesa della sua integrità territoriale.

Mentre usiamo a vanvera parole come “guerra” e “coprifuoco” nel contrasto a un virus, non accettiamo il lessico dell’unica vera guerra che siamo chiamati a combattere, quella contro l’Islam fondamentalista che dall’11 settembre 2001 non molla la presa. Non lo abbiamo scelto ma dobbiamo prenderne atto, senza infingimenti: l’Occidente è sotto attacco, e il nemico è in casa, e il premier Conte con il suo governo deve spiegarci com’è potuto accadere, perché i fatti di Nizza ci riguardano, la responsabilità dell’Italia è sotto gli occhi di tutti.

Annalisa Chirico

Redazione

 

 

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