Piccolo non è più bello per le nuove generazioni, ma senza lavoratori le pmi, motore del pil made in Italy, rischiano di restare senza benzina. Delle oltre 4 milioni di imprese italiane il 98% sono piccole e medie e la gran parte di queste a gestione familiare. Entro il 2028 il mercato del lavoro italiano avrà un fabbisogno compreso tra i 3,1 e i 3,6 milioni di occupati. Ma circa 7 pmi su dieci faticano a trovare personale. Sta tutto in questi numeri l’allarme per il futuro del dna dell’economia italiana. (Sole 24 Ore)
«E’ una crisi al contrario, in cui non manca il lavoro ma mancano i lavoratori, quella che attanaglia le pmi italiane costringendole a rallentare rispetto alle opportunità di mercato», spiega Marina Puricelli direttrice del corso General Management per le pmi all’Università Bocconi. A pesare c’è la crisi demografica: coi baby boomer che lasciano il lavoro, sono molti meno i giovani in ingresso. Giovani che cercano una fuga dal lavoro come fonte di stress e salari d’ingresso remunerativi.
Tutti temi su cui le piccole imprese si trovano a competere con le grandi aziende, in Italia o addirittura all’estero. Le multinazionali sono spesso in grado di offrire benefit, stipendi più elevati, possibilità di carriera. Dai livelli più bassi fino a quelli più elevati. Ad esempio, nelle microimprese (fino a 10 dipendenti) un operaio guadagna in media 24.337 euro, mentre in aziende medio-grandi (da 250 a 1000 dipendenti) lo stipendio medio è di 27.773 euro.
Ma non è solo questo. A pesare è anche uno scollamento delle nuove generazioni dalle aziende più piccole. «Di piccola impresa si parla poco e male. Il problema è innanzitutto culturale. L’offerta e la domanda formativa si sono progressivamente allontanate dalla realtà del nostro tessuto economico, disarcionate da ciò che serve. Lo hanno fatto per giunta in un periodo di drammatico calo demografico, in un momento in cui la “materia prima” scarseggia», dice Marina Puricelli.
Un paradosso. L’Italia modello europeo delle piccole e medie imprese familiari, non ha un sistema d’eccellenza per una formazione che alimenti il sistema. E non riguarda più solo licei, istituti tecnici e Its. Guardando alle prime 20 facoltà di Economia (classifica Censis 2023) sul totale dei 1600 insegnamenti proposti in quegli atenei, solo 4 sono specificatamente rivolti alle piccole imprese, e tutti opzionali. «Nel paese del capitalismo pulviscolare, può succedere che un brillante studente arrivi al termine della sua laurea senza mai aver sentito parlare di quelle aziende che costituiscono l’ossatura e la ricchezza dell’economia italiana. Può invece accadere che possa aver udito, da autorevoli professori, dei limiti dimensionali del modello italiano e del presunto familismo amorale, come se fosse un vizio solo delle piccole», racconta Puricelli.