La situazione di mercato per il vino italiano non induce all’ottimismo. I consumi sia interni che soprattutto all’estero vanno a rilento e al quadro congiunturale complesso si aggiunge ora la minaccia di dazi su quello che è il principale sbocco in valore per il vino made in Italy: gli Stati Uniti. In queste condizioni è davvero fuori luogo chiudere la porta a possibili sviluppi come il segmento dei vini senz’alcol o a basso contenuto alcolico ma soprattutto come l’accordo con il Mercosur (sostanzialmente il mercato sudamericano, ndr). È il bilancio che è stato tracciato questa mattina a Roma nel corso del Consiglio nazionale dell’Unione Italiana vini. (Sole 24 Ore)
«Gli annunciati dazi Usa – ha commentato il presidente dell’Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi – rischiano di aggravare una congiuntura già difficile se non si diversifica il mercato e soprattutto se si perseguono politiche di chiusura commerciale». Sotto questo aspetto quindi all’Uiv se da un lato accolgono con favore l’apertura sul tema dei vini dealcolati o dealcolizzati («una micchia che può aprire le porte a nuovi target di Paesi» ha aggiunto Frescobaldi) venuta con la bozza di decreto presentata dal ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida dall’altro sottolineano la necessità di evitare chiusure commerciali: “L’Unione italiana vini – è stato sottolineato – sostiene fermamente l’accordo tra le Ue e i Paesi del Mercosur”.
Una presa di posizione importante e che si contrappone alle perplessità nei confronti dell’accordo Ue-Mercosur venute soprattutto negli ultimi mesi da parte delle organizzazioni agricole (non solo italiane anche francesi) che invocano una maggiore reciprocità e quindi il rispetto da parte dei produttori sudamericani di vincoli e norme (in tema ambientale o di tutela del lavoro) simili a quelli cui sono assoggettati i produttori europei.
Secondo l’Unione italiana vini la priorità è invece non far tramontare il negoziato. «Il 60% dell’export italiano – ha spiegato Frescobaldi – è concentrato su 5 mercati, con gli Stati Uniti che da soli valgono quasi un quarto delle nostre spedizioni: non possiamo chiuderci anche verso mercati – come il Brasile e l’America Latina – che per radici culturali potrebbero ampliare i nostri orizzonti commerciali».
Secondo un focus dell’Osservatorio Uiv, l’Italia sarebbe il Paese fornitore europeo maggiormente esposto in caso di nuovi dazi aggiuntivi statunitensi. Dall’analisi delle importazioni nei primi 9 mesi di quest’anno emerge infatti come gli Usa siano oggi la “stampella commerciale” delle vendite italiane (+4,4% nel periodo), con una domanda che ha contribuito a limitare il calo a valore delle spedizioni verso 11 Paesi top buyer a -1,5%. Al netto del mercato Usa, la perdita salirebbe infatti a -4,9%. Meno traumatico l’effetto sulla Francia, che passerebbe dall’attuale -7,3% a -8,5%.