«Le tariffe al commercio sono una cosa bellissima, la cosa più grande mai inventata». Lo ha ripetuto in campagna elettorale Donald Trump che vuole intervenire rapidamente, appena avrà messo piede alla Casa Bianca, sulle regole delle importazioni: contro la Cina e l’Europa, contro le imprese americane che delocalizzano in Asia o producono in Messico. (Sole 24 Ore)
«Stiamo cercando di capire quali saranno davvero le politiche commerciali di Trump. I dazi condizioneranno certamente l’attività delle imprese che producono in Cina o comunque all’estero, e l’impatto sarà inevitabile anche per i consumatori, prima di tutto quelli americani». Matt Priest, presidente di Footwear distributors and retailers of America, l’associazione che riunisce grossisti e negozi di scarpe, è in attesa di vedere se gli Stati Uniti stanno per scatenare una nuova guerra commerciale.
«Un americano medio – spiega ancora Priest – acquista sette paia di scarpe all’anno, la maggior parte delle quali sono prodotte all’estero e sono già soggette a dazi doganali elevati al momento dell’importazione, ma ora si discute di ulteriori, forti aumenti sulle tariffe all’import». Secondo i report appena usciti della National retail federation, i dazi prospettati da Trump su abbigliamento, giocattoli, mobili, elettrodomestici, calzature e articoli da viaggio costerebbero ai consumatori americani fino a 80 miliardi di dollari in più all’anno.
Le imprese temono i dazi e anche i ritardi nelle forniture, le difficoltà sulle catene globali. Ma anche le decisioni imprevedibili di Trump che oggi vuole punire la Cina, bacchettare l’Europa, ma domani potrebbe inasprire le relazioni con Paesi come l’India o il Vietnam. Oliver Zipse, amministratore delegato di Bmw, spera che quelle sui dazi siano «solo parole», grandi gruppi come Steve Madden, big della calzature Usa, ha già deciso di «dimezzare la produzione in Cina».