Dopo undici settimane, l’intesa si è sbloccata nella giornata di ieri: nel governo sembra essersi trovata la quadratura del cerchio per finanziare la rimodulazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che attendeva dal 24 novembre scorso e minacciava di diventare un caso sempre più delicato. (Corriere)
Salvo sorprese, il Consiglio dei ministri dovrebbe dunque poter approvare forse già domani il decreto che rialloca più di dieci miliardi del Pnrr, rivede e in parte accentra il sistema di gestione dei fondi europei e sposta molti altri miliardi destinati ad altri progetti finanziati con fondi nazionali. Ma poiché le risorse restano inevitabilmente limitate, progetti per quattro miliardi restano scoperti e senz’altro i settori colpiti avvieranno un nuovo ciclo di lamentele e proteste.
Tutto nasce dall’accordo fra l’Italia e la Commissione europea, per ricomporre un Pnrr al quale mancava una chiara linea di politica industriale. Nella revisione, il governo aveva proposto di allocare 19,2 miliardi di euro a progetti delle grandi società pubbliche partecipate dallo Stato sulla transizione e l’indipendenza energetica. La Commissione ne aveva concessi per 11,2 miliardi. Inoltre, in un esempio della capacità persuasiva della categoria che poi si è rivista in questi giorni, per l’agricoltura i fondi erano saliti da cinque a otto miliardi. Per finanziare gli spostamenti, il governo aveva proposto tagli ai programmi dei comuni per 15,8 miliardi e Bruxelles li aveva concessi.
Raffaele Fitto, il ministro con delega al Pnrr, era riuscito a far accettare la revisione ai sindaci solo grazie a un impegno politico: nei fondi nazionali si sarebbero trovate tutte le risorse necessarie a completare i loro progetti usciti dal Pnrr. È essenzialmente su questo punto che all’interno del governo è andato in scena uno stallo messicano per undici settimane, perché l’insieme della revisione imponeva di reperire in totale risorse per 17 miliardi. L’idea di Fitto era probabilmente di usare per i comuni il Fondo complementare da 31 miliardi creato dal precedente governo. Ma a quel punto altri progetti già finanziati da quello sarebbero dovuti uscire, in un continuo effetto domino. Gli impegni presi sono innumerevoli, ma la coperta dei fondi disponibili inevitabilmente troppo corta per garantirli tutti.
Su questi aspetti il ministro con delega al Pnrr ha avuto un lungo e teso confronto con Giancarlo Giorgetti, il ministro dell’Economia. Fitto ha chiesto a Giorgetti collaborazione per risolvere il problema dei progetti da rifinanziare. Giorgetti ha posto rigidi limiti, legati anche all’intenzione di non far salire deficit e debito. Forse non ha aiutato fra i due anche il fatto che, all’avvio di questo governo, la gestione del Pnrr è passata dalla struttura di Giorgetti a quella di Fitto.
Alla fine ieri sera è emerso un compromesso. In base alle ultime rifiniture, sarebbe stata reperita la disponibilità di 13 miliardi circa dei 17 che servivano. Progetti per quattro miliardi resterebbero dunque fuori. Certamente, c’è da risolvere un problema tecnico su Industria 5.0, cioè sugli incentivi agli investimenti in autonomia energetica delle imprese. Il programma sembra dover essere completamente rimodulato per garantirne la tenuta finanziaria.