Dal rapporto sulla condizione occupazionale presentato a Palermo un warning sugli stipendi: in termini reali calano sia a uno che a cinque anni dalla laurea. (Sole 24 Ore)
Il classico bicchiere mezzo pieno. Possiamo riassumere così le prospettive di studio e di lavoro dei laureati italiani a giudicare dal XXV Rapporto di AlmaLaurea che è stato presentato all’Università di Palermo. A fronte di un miglioramento della condizione occupazionale, sia a uno che a cinque anni dalla laurea, le retribuzioni risultano invece in diminuzione in termini reali. E questa non può mai essere una buona notizia in un Paese che è solito esportare più capitale umano di quanto ne riesca a importare. Ma dalla tradizionale indagine del consorzio universitario presieduto da Ivano Dionigi emergono tanti altri spunti: dalle esperienze di studio all’estero che continuano a risentire dell’effetto Covid all’emergenza alloggi, da un miglioramento complessivo delle carriere universitarie al gender gap che non ci lascia, dalla mobilità studentesca che continua a muoversi lungo l’asse Sud-Nord a una soddisfazione generale per gli studi fatti.
Procediamo con ordine e partiamo dal Rapporto 2023 sulla condizione occupazionale dei laureati di 78 atenei che prende in esame 670mila persone in possesso di un titolo d’istruzione superiore e analizza i risultati raggiunti sul mercato del lavoro dopo uno, tre e cinque anni. Ebbene, nel 2022 risulta migliorata ancora la capacità di assorbimento del mercato del lavoro, rispetto non solo al 2021, ma anche a quanto osservato negli anni pre-pandemia. Così si registrano i più alti livelli occupazionali dell’ultimo decennio, tra i laureati sia di primo sia di secondo livello (ma non a cinque anni). Più nel dettaglio il tasso di occupazione a un anno dal titolo risulta pari al 75,4% tra i laureati triennali e al 77,1% tra magistrali e a ciclo unico (+0,9% e +2,5% sul 2021); a cinque anni sale al 92,1% per i primi e all’88,7% per i secondi (+2,5% e +0,2% sul 2021).
Dal Rapporto 2023 sulla condizione occupazionale emerge un altro elemento di cui tenere conto. E cioè che a fronte di un aumento del valore nominale degli stipendi le stesse risultano in realtà in calo in termini reali se si tiene conto del potere d’acquisto mutato dagli elevati livelli di inflazione.
Nel 2022, a un anno dal titolo, la retribuzione mensile netta è, in media, pari a 1.332 euro per i laureati di primo livello e a 1.366 euro per quelli di secondo livello. In termini reali tali valori sono in calo nell’ultimo anno del 4,1% per i primi e del 5,1% per i secondi. A cinque anni dal titolo la retribuzione mensile netta è pari a 1.635 euro per i laureati triennali e a 1.697 euro per magistrali e a ciclo unico, con una diminuzione delle retribuzioni reali rispetto al 2021 del 2,4% e del 3,3%.
Le differenze di genere e territoriali si fanno sentire. Basti pensare che, a parità di condizioni, a un anno dalla laurea gli uomini percepiscono in media 70 euro netti in più al mese. E pesa anche il territorio in cui ci si trova. Rispetto a chi è occupato nel Mezzogiorno, chi lavora al Nord percepisce in media 101 euro mensili netti in più, mentre chi lavora al Centro 53 euro in più. Ma è soprattutto tra i laureati che lavorano all’estero che il vantaggio retributivo si accentua sensibilmente: oltre 600 euro netti mensili in più rispetto a chi resta al Sud.