Pasquale Frega, vicepresidente di Farmindustria, è intervenuto nel corso della seconda giornata dell’evento “Rinascita Italia. The young hope”, promossa dall’associazione Fino a prova contraria.
«Il Covid, a mio avviso, rappresenta ciò che l’11 settembre ha rappresentato per la lotta al terrorismo. Quella crisi è stata superata con l’intervento di Stato, industria e cittadini. Per superare il Covid serve lo stesso approccio: lo Stato deve cambiare le regole di come si fa impresa in questo paese.
Nonostante la qualità fantastica di ricerca e ricercatori presente in Italia, esistono ancora vincoli burocratici e campanilistici. Davanti a una grande opportunità ci creiamo vincoli che non parlano con le qualità e le logiche né della ricerca né di quello che il Paese può offrire.
Lo scenario del nuovo inizio? La ricerca può fare un balzo in avanti significativo, anche per l’impatto economico che può rappresentare nel Paese. A breve avremo l’opportunità del Mes, che mi auguro venga colta e che può rafforzare il servizio sanitario nazionale. Ma serve la capacità di essere anche attrattivi, sul fronte della ricerca: dobbiamo cambiare la mentalità che c’è oggi nei confronti dell’industria.
Una notizia fresca di stamane riguarda proprio il pay back. Ecco, questo emendamento è stato però bocciato nel corso della nottata: esistono ancora dei pregiudizi.
Il vaccino
«Il vaccino o un farmaco non sono qualcosa che fai in 48 ore. Le linee di produzione sono molto complesse. Quindi cosa sta accadendo in questa fase? L’industria si è premunita ed è partita fin dalla primavera nell’aumentare la produzione, ma ora la richiesta a livello mondiale è superiore del 60/70 % rispetto a quanto è stato prodotto nel 2019. Soddisfare questa richiesta è impossibile; stiamo facendo gli straordinari. Il sistema produttivo italiano è in prima linea sulla produzione dei vaccini, ma si tratta di 6 o 8 milioni di dosi in più rispetto a quelle dello scorso anno. Non è una questione di volontà: la nostra missione ce l’abbiamo molto chiara e la portiamo avanti. Ma chi si pone queste domande forse non ha molto chiaro cosa significhi produrre un farmaco o un vaccino.
Una cosa certa è che il vaccino arriverà. Il tempo medio per un vaccino storicamente è di 5 anni, qui siamo ben oltre l’accelerazione. Il vaccino non è un farmaco, va dato anche a chi è potenzialmente sano, quindi non si può accettare il rischio degli effetti collaterali. La Russia se ne è fregata. Nessuno può dire se il vaccino funziona finché i risultati non sono analizzati».