L’idea alla base dell’ammissione della Cina all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) nel 2001 era quella di portare l’allora quinta economia del pianeta nel sistema commerciale condiviso affinché si riformasse, correggesse le sue pratiche anti-competitive e ricevesse una spinta verso un’apertura politica.
L’ingresso di Pechino nella Wto ha senz’altro facilitato un boom dei commerci e lo spostamento del centro dell’attività manifatturiera verso il Pacifico e, distanza di vent’anni, ricorda il Corriere della Sera, il Pil della Cina sta per superare i 15mila miliardi di dollari.
I benefici ci sono stati anche per il resto del mondo, soprattutto per i consumatori, ma gli effetti sull’occupazione sono stati pesanti. Uno studio dell’Economic Policy Institute, ha stimato che gli americani hanno perso 3,4 milioni di posti di lavoro, il 74% dei quali nel settore manifatturiero. Per non parlare degli impegni presi dalla Cina e mai rispettati.
Ad oggi, dunque, il paese guidato da Xi Jinping punta a dettare le regole commerciali, d’investimento e concorrenza, di fronte ad una Wto di fatto impotente e le cui regole non vengono rispettate, sulla cui utilità il dibattito è tutt’ora aperto.