Attualità e politica

Cassese: “Serve il ripristino della moralità dello Stato”

“Che fare se i custodi della virtù si macchiano essi stessi di gravi colpe, spesso nei luoghi dove dovrebbe essere difesa la giustizia, abusando della propria autorità?”, è il quesito che si pone il giudice emerito della Corte costituzionale Sabino Cassese alla luce degli episodi di violenza nelle carceri: “I manganelli adoperati a Santa Maria Capua Vetere erano gli stessi di quelli della polizia di Scelba: ma quest’ultima li adoperava (non sempre) per impedire illegittimità o reprimerle, nel carcere campano sono stati adoperati per arrogarsi un illecito potere di punire. Carabinieri e magistrati hanno in qualche caso commesso il tipo di reati che dovevano perseguire, dalla truffa allo spaccio di droga. I vertici della polizia penitenziaria, dichiarando la propria incolpevolezza perché ignoravano l’accaduto, hanno implicitamente rivelato la loro incapacità”.

Nel suo editoriale sul Corriere della Sera, il giurista stila un elenco delle azioni per uno Stato ordinato e con la giusta moralità. “Innanzitutto, quello che è accaduto dentro e fuori di caserme e carceri, i reati commessi da coloro che amministrano la giustizia, dall’ultimo secondino al più alto magistrato, sono casi isolati o mali diffusi? Bisogna sapere subito quanto estese sono le violazioni del diritto e della giustizia commesse dagli uomini e dalle donne che dovrebbero assicurarne il rispetto. Una inchiesta amministrativa comprensiva e accurata è necessaria”.

Il secondo quesito riguarda le persone a capo della macchina: “I magistrati sono selezionati e poi formati per esercitare le funzioni giudicanti. Si può ragionevolmente dubitare che siano in grado anche di guidare il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Altrimenti, avrebbero scelto meglio i loro collaboratori, avrebbero avuto linee di comando più funzionali, avrebbero saputo quel che accadeva nei penitenziari. E sarebbero stati informati del tentativo di occultare le responsabilità. Gli eventi recenti hanno mostrato un deficit di professionalità al quale va posto rimedio”.

Un altro problema è per il giurista il deficit formativo: “Chi, nelle caserme e nelle carceri, è in contatto con accusati e condannati dovrebbe conoscere quel che la Costituzione dispone sulla dignità di uomini e donne e quello che Bettiol, Leone, Moro intendevano quando, alla Costituente, scrissero che la pena non deve esser contraria al “senso di umanità” e deve “tendere alla rieducazione del condannato”.

Al “ripristino della moralità dello Stato”, devono rendere parte tutti gli addetti ai lavori, compresi magistrati e forze dell’ordine. “Sono loro che vivono a contatto quotidiano con il malfunzionamento di quello che una volta si chiamava apparato repressivo dello Stato. Magistrati e forze dell’ordine hanno il compito di difendere i cittadini. Ora si ha l’impressione che in qualche caso le parti siano invertite: i cittadini debbono difendersi da magistrati e forze dell’ordine. Bisogna correre ai ripari, ristabilire la moralità dello Stato, restaurare l’immagine del potere pubblico”.

Redazione

 

 

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