“La sostenibilità è sempre un compromesso, non può essere un valore assoluto. Dunque deve mediare fra istanze diverse. È illusorio pensare che esista un’unica soluzione automatica”, lo afferma il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani.
“C’è grande consapevolezza delle sfide che ci aspettano. Dove dobbiamo andare, lo sappiamo tutti: va ridotta la CO2, perché crea una coltre che fa sì che la Terra, in sostanza, si comporti come un’auto al sole che si surriscalda. Bisogna evitare che la temperatura media aumenti di più di 1,5 o 2 gradi entro fine secolo. E questo non risolve il problema, lo mitiga. Se ci va bene, blocchiamo la situazione com’è adesso. In Europa e in Italia ci siamo impegnati ad abbattere le emissioni entro il 2025, ridurle entro il 2030 del 55% sui livelli del 1990, per arrivare alla completa decarbonizzazione nel 2050”, spiega Cingolani in un’intervista al Corriere della Sera.
La decarbonizzazione deve dunque essere un obiettivo comune per porre fine al degrado ambientale: “Non abbiamo alternative: nessuno nel mondo ne ha. Non ci possiamo più permettere un ulteriore degrado. Se la temperatura media aumenta di un grado e mezzo nel mondo, ai poli sale di 4 o 5 gradi e scioglie i ghiacci là dove si trova quasi il 70% dell’acqua dolce. I mari salgono di livello e si acidificano, creando un impatto sulla biodiversità. Ci sono già il 6% di specie aliene nel mare, che rappresenta una sorgente primaria di cibo per oltre tre miliardi di persone”.
Ancora, spiega Cingolani: “Quando il mare riscaldandosi cambia i cicli dell’umidità e della pioggia, dunque gli assetti dell’agricoltura. In più il riscaldamento globale sta sciogliendo il permafrost dei poli, dove sono intrappolati batteri che sono lì da tempo indefinito e magari non conosciamo. Per non parlare del dissesto idrogeologico e degli eventi climatici estremi: in base ai dati dell’Onu, in dieci anni hanno causato 400 mila morti e danni per almeno 1.200 miliardi di dollari”.
Verso l’obiettivo della riduzione delle emissioni, la Cina sta giocando il suo ruolo con lo sviluppo del trasporto a batteria elettrica “promesse interessanti, con l’obiettivo di emissioni nette a zero nel 2060”. Ci sono però altri paesi in via di sviluppo che sembrano prendere parte meno agli impegni: “Altri Paesi dell’Asia orientale e del Sudamerica reclamano il loro diritto di crescere e intanto sono diventati collettori di rifiuti dei Paesi ricchi. Oggi i fiumi asiatici sono grandi pipeline di plastica che finisce in mare, dove si degrada in inquinamento organico microscopico. La quantità di plastica nei mari tra poco uguaglierà la massa di pesce, che poi noi mangiamo”.
Il ministro Cingolani ha parlato di transizione burocratica, a sottolineare la necessità di velocizzare i processi autorizzativi: “Stiamo costruendo una legge di accelerazione, più che semplificazione, del Pnrr. Senza quella, non c’è niente. Ma il ministero della Transizione ecologica dovrà anche dotarsi di una componente tecnica capace e di una internazionale che durino oltre il mio mandato, per seguire lo sviluppo dei progetti. E quando il governo ogni anno farà la legge di bilancio, il ministero dovrà poter bollinare in maniera vincolante la sostenibilità ambientale di ogni misura. In futuro ci verrà richiesto, se dobbiamo convincere i mercati a investire nel nostro debito. Ma ora la cosa più urgente è cambiare le procedure autorizzative”.
Un’accelerazione degli iter burocratici è necessaria per i fondi che arriveranno dall’Europa: “La Commissione europea ci dà tempi certi, con il rischio di perdere i soldi se non li spendiamo. Ed è a partire da lì che possiamo pensare a un nuovo sistema stabile, competitivo, che duri anche dopo i cinque anni del Pnrr. Se poi non dovessimo riuscire, allora possiamo passare a piani di emergenza sul modello Genova”.
Servono dunque tempi precisi per realizzare le opere: “Sì, vanno dati tempi precisi. E a un certo punto si può iniziare a calcolare il costo dei ritardi, se tutto si blocca, perché la perdita di tempo rappresenta un danno all’erario esattamente come lo è fare male un’opera. È troppo comodo bloccare una procedura per mille o duemila giorni, pur di non rischiare. Così si paralizza tutto. Se qualcuno crede che i ritardi non siano un costo, perdiamo decine di miliardi. Questo è danno erariale, o no?”.