Da domenica scorsa l’Oman ha sospeso la licenza di Clubhouse, l’app di stanze virtuali fatta di soli contenuti audio per “problemi di autorizzazione”, come detto da Muscat all’Associated Press.
Come spiega a Repubblica Ahmed al Omran, analista saudita, “L’eccitazione e i dibattiti ricordavano i bei vecchi tempi su Twitter, quelli della Primavera araba”. Su ClubHouse, diventata in poco tempo l’app più scaricata su Apple Store nel Golfo, venivano affrontati argomenti che altrove sono dei tabù, come l’omosessualità o le vendite di bevande alcoliche.
Non è solo l’Oman ad aver limitato questo nuovo spazio di libertà che si era creato: in Arabia Saudita profili filogovernativi sono entrati nelle stanze virtuali nate in occasione della liberazione dell’attivista femminista Loujain al Hatloul, e hanno insultato i partecipanti.
“La rapidità con cui è stato imposto il silenzio su Clubhouse ci mostra come nei 10 anni che ci separano dalle cosiddette Primavere arabe i governi siano diventati molto più consapevoli di quello che accade in Rete e delle potenziali minacce”, spiega a Repubblica Donatella Della Ratta, docente di Comunicazione e Media Studies alla John Cabot University di Roma.