La Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro ci ricorda che in Italia, di lavoro si continua ancora a morire. Li chiamiamo infortuni sul lavoro e malattie professionali e si manifestano nei cantieri, negli impianti, nei laboratori, negli allevamenti e nei capannoni di logistica, ma che anno dopo anno fanno più vittime delle calamità naturali. (Sole 24 Ore)
L’Inail ci dice, che solo nei primi due mesi di quest’anno, sono 97 le persone che hanno perso la vita sul lavoro. A questi, vanno conteggiati i morti degli incidenti in itinere, i casi di invalidità permanente, e le 15 mila nuove denunce per malattie professionali.
In tutta Italia ci sono poco più di duemila Tecnici della prevenzione (Tpall) che si occupano della funzione ispettiva. Per la precisione, sono circa 2.108. Il che significa che ce n’è solo uno ogni 28mila persone. Se invece guardiamo alle imprese, parliamo di un tecnico ogni 1.500 aziende. E in termini di lavoratori, uno solo per quasi 11.800mila.
Si stima che per completare una sola visita a tutte le imprese, in alcune regioni di Italia, potrebbero servire oltre quindici anni. Cifre che evidenziano il divario anche rispetto agli standard europei, che prevedono almeno un tecnico ogni 10 mila abitanti. Mancano cioè circa 3.600 professionisti, ma secondo le nostre stime, ne servirebbero almeno 5.900.
Se non si comincia a investire, in modo stabile, sul personale, la sicurezza sul lavoro rischia di restare una bella promessa, ma solo sulla carta. Eppure i numeri parlano chiaro: secondo l’Associazione internazionale di sicurezza sociale, ogni euro speso in prevenzione ne fa risparmiare almeno tre in costi sanitari e sociali. È da qui che bisogna ripartire. Per provare a fermare le morti e gli incidenti sul lavoro serve un cambio di passo serio, concreto. E questo può avvenire solo puntando su tre direttrici: i professionisti, l’organizzazione e i mezzi.
I tecnici della prevenzione possiedono una formazione universitaria solida sul tema della sicurezza sul lavoro: una laurea con oltre 4.500 ore tra didattica e 1.500 ore di tirocinio sul campo. È ovvio, per operare in questo settore occorrono competenze certificate, pertanto riteniamo che l’attività ispettiva sia affidata in primis a loro.
Sul versante imprese, invece, proponiamo che la qualità della formazione dei Responsabili dei servizi di prevenzione e protezione e dei formatori sia verificata e riconducibile a standard scientifici; vale lo stesso per i percorsi formativi e l’aggiornamento dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls), che dovrebbe avvenire solo presso strutture pubbliche.
Oggi in Italia ci sono quasi una ventina di enti che si occupano di ispezioni nel lavoro. Spesso con competenze che si sovrappongono. La nostra proposta: serve una regia unica. Un coordinamento nazionale che metta attorno allo stesso tavolo tutti questi enti, per condividere dati, agende ispettive, strategie.
È necessario, infine, investire risorse certe e continuative per la piena attuazione dei piani di prevenzione regionali e nazionali e per la realizzazione di programmi di audit partecipati e di responsabilità sociale, coinvolgendo i Tpall e gli stessi datori di lavoro. Insomma, non basta la sola vigilanza, è necessario un cambio culturale.