Non è la pima volta che l’Italia si mette alla prova con strumenti di risparmio che, grazie ad un fisco favorevole, puntano a favorire con investimenti di lungo periodo un circolo virtuoso tra i risparmi degli italiani e l’economia reale. Nel 2017 sono stati lanciati i Pir (Piani individuali di risparmio), per i quali è stata prevista un’esenzione totale del capital gain a patto di mantenere l’investimento per almeno cinque anni. (Sole 24 Ore)
Secondo l’Osservatorio che monitora il fenomeno dall’avvio, questi strumenti, dopo un periodo di euforia tra il 2017 e il 2021, hanno visto il loro patrimonio passare da un massimo di 21,2 miliardi a fine 2021 ai 15,9 miliardi del febbraio scorso. Effetto di tassi, volatilità ma anche di performance positive. Da marzo 2020 a marzo 2025 i rendimenti dei Pir azionari sono molto elevati, in molti casi sono nell’ordine delle tre cifre. Ed è quindi comprensibile che gli investitori abbiano optato per monetizzare l’investimento senza subire come previsto alcun onere fiscale sul guadagno realizzato. Le società di gestione e le reti distributive, dal canto loro, hanno intercettato la tendenza dei risparmiatori a uscire dai Pir dopo 5 anni con altri prodotti e di recente hanno iniziato a proporre i Pir obbligazionari per impiegare i capitali liquidati dai Pir azionari con un orientamento più prudenziale. Una strategia che dal punto di vista commerciale sembra premiare le Sgr visto che sono stati proprio i Pir obbligazionari a mettere nuovamente le ali alla raccolta (da inizio anno 532 milioni).
Ora ci si chiede se rispetto ai Pir i nuovi Conti di risparmio e investimenti di matrice svedese (cosiddetti ISk) possano essere più efficaci. «I Conti di risparmio e investimento sono strumenti differenti rispetto ai Pir