Internazionale

Dazi, Trump prova a dividere l’Europa. I veri conti dell’export

Secondo Donald Trump ormai si è aperta una «battaglia finanziaria» con l’Unione europea, gli Stati Uniti sono al lavoro per dividere il fronte avversario. Ad alcuni governi, Italia inclusa, la Casa Bianca ha lasciato intendere che sarebbero possibili negoziati separati e dunque — probabilmente — trattamenti individuali di favore. Almeno per ora però il divide et impera della Casa Bianca non sta funzionando. Se alcuni Paesi dovessero scendere a patti separati con Trump, gli altri governi europei reagirebbero tagliandoli fuori dai loro mercati nazionali. E a Roma comunque per ora si ritiene che a trattare con Washington per l’Unione europea debba essere il commissario (slovacco) al Commercio Maroš Šefcovic, peraltro ritenuto decisamente abile nel farlo. (Corriere)

Niente di tutto questo però rende facile arrivare anche solo a una tregua, nella guerra commerciale che si sta aprendo fra Bruxelles e Washington. Il confronto resta inquinato da troppe idee di Trump che non trovano riscontri. Né è facile richiamare ai fatti gli emissari della Casa Bianca: il presidente centralizza su di sé gran parte delle decisioni, ma non accetta di parlare con Ursula von der Leyen o altri rappresentanti della Commissione Ue.

Il rischio del cortocircuito è dunque sempre dietro l’angolo. Del tutto falsa è per esempio la premessa di Trump secondo cui l’Europa si approfitterebbe dell’apertura del mercato americano, restando chiusa all’import a stelle e strisce. La bilancia delle partite correnti della Banca d’Italia e della Banca centrale europea — gli scambi di beni, servizi, transazioni finanziarie e redditi — dice il contrario. L’attivo dell’area euro con l’America inizia a precipitare prima della pandemia e dal 2022 emerge un surplus americano, che di certo nel 2023 e probabilmente nel 2024 continua a crescere.

Gli Stati Uniti fatturano nella zona euro più di quanto la zona euro fatturi negli Stati Uniti e la spiegazione è tutta nella rivoluzione digitale. Il pagamento da parte degli europei alle Big Tech californiane di «diritti per l’uso di proprietà intellettuale» esplode da 25 miliardi di euro nel 2018 a 155 miliardi nel 2023. Quei flussi di denaro attraversano l’Atlantico verso ovest ogni volta che un residente di Milano, Roma, Parigi o Berlino registra un abbonamento a Netflix per vedere una serie, a Chat Gpt 4.0 per un processo di lavoro, a Microsoft per fare videoconferenze o a Meta per diffondere un post su Facebook.

L’economia immateriale ha rovesciato i rapporti fra Europa e America. Ora l’area euro registra un rosso nelle partite correnti con gli Stati Uniti di 7,5 miliardi di euro nel 2022 e di 22,1 miliardi nel 2023, malgrado il suo grande surplus negli scambi di beni materiali. Anche i pagamenti dell’Italia agli Stati Uniti per «diritti di proprietà intellettuale» esplodono da 605 milioni nel 2018 a 1,9 miliardi nel 2023.

La seconda questione che intossica i rapporti riguarda poi l’imposta sul valore aggiunto (Iva): la Casa Bianca ritiene che l’Iva europea, poiché colpisce prodotti importati, potrebbe giustificare dazi «reciproci». Il solo problema è che l’Iva non è un dazio. Quest’ultimo colpisce solo i beni esteri quando arrivano alla frontiera, per rendere il loro prezzo meno attraente rispetto ai beni prodotti all’interno di un’economia. Ma l’Iva europea colpisce i prodotti americani o cinesi così come quelli italiani, francesi o tedeschi; dunque non distorce il mercato contro l’America o a favore dell’Europa e non giustificherebbe alcuna misura «reciproca». A maggior ragione, perché anche gli Stati Uniti hanno una forma di Iva (la «sales tax») sulle vendite al consumatore.

Redazione

 

 

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