Nelle guerre stellari tra Usa e Ue la minaccia di dazi ventilata da Donald Trump è, finora, fantasma. Il rischio, però, è concreto. Sui 626 miliardi di euro di valore dell’export italiano nel mondo, dicono i dati Istat elaborati da Sace, 67,2 arrivano dagli States: il valore dell’interscambio Roma-Washington ammonta a 92,4 miliardi su un totale per l’Italia di 1.217 miliardi. Come ha spiegato l’Ocse, se i dazi americani dovessero attestarsi al 10% l’export italiano in Usa calerebbe di 3,5 miliardi, mentre con il 20% i mancati introiti arriverebbero a 12 miliardi. (Il Messaggero)
Come (e dove) compensare queste cifre? Bussando alla porta dei vicini Canada e Messico, con cui la guerra commerciale innescata da The Donald è temporaneamente in ghiacciaia. L’export italiano in terra canadese (2° mercato di destinazione delle merci italiane nel continente) ha subito nel 2023 una battuta d’arresto del -0,9% (6,3 miliardi): il doppio fronte aperto dagli Usa con Roma e Ottawa potrebbe contribuire a rilanciare il made in Italy in Canada, anche in virtù della massima «il nemico del mio nemico è mio amico». In tale direzione andrebbe l’incontro del 12 febbraio prossimo tra i presidenti di Commissione e Consiglio Ue, Ursula von der Leyen e Antonio Costa, e il premier Justin Trudeau.
Stesso schema col Messico, 3° mercato di destinazione dell’export italiano nel Nuovo Continente: nel ‘23 il trend delle esportazioni nel Paese ha fatto registrare un +11,2%, che vale 6,2 miliardi. A ridosso del podio il Brasile, 4° mercato per l’export italiano nelle Americhe. Anche qui i dati ‘23 sono positivi: +5,3% (5,4 miliardi).
Messico e Brasile sono tra i 14 mercati strategici che Sace ha individuato come target per far crescere l’export italiano. «Dagli Emirati all’Arabia, dalla Serbia fino a Vietnam e Singapore – dice la presidente Alessandra Ricci – i cosiddetti Paesi Gate (growing, ambitious, transforming, entrepreneurial) lo scorso anno hanno raccolto da soli 80 miliardi di euro di beni italiani, destinati a diventare 95 nel 2027».Il Vietnam è, peraltro, tra le economie più dinamiche del Sud-Est asiatico: «Le aziende italiane che si sono spostate lì dopo la prima ondata di dazi imposta da Trump nel 2018 – spiega Marzio Morgante, managing partner di Asia Tax Advisory – potrebbero trovare opportunità nella meccanica, nelle tecnologie industriali e nel design».
Inevitabile, in Asia, il confronto con i due giganti dai piedi non più d’argilla: Cina e India. Il Dragone è il primo mercato di destinazione dell’export italiano in Asia-Pacifico. L’andamento dell’export ha registrato nel ‘23 una forte crescita (+16,8%) per 19,2 miliardi di valore. Nonostante sia un mercato già consolidato, la Cina resta tra i Paesi più promettenti per l’Italia grazie alla sua classe media in ascesa: «Settori come lusso, food & beverage, moda e design – dice Morgante – trovano terreno fertile». Discorso simile per l’India, quinta destinazione asiatica per l’export italiano con un +7,4% (5,2 miliardi) nel ‘23. E il Giappone? Il Paese del Sol Levante è il 2° mercato per il made in Italy in Asia: nel ‘23 le esportazioni hanno segnato però un -0,5% (8 miliardi).
Guardando all’Europa, continua a destare timori lo stato di salute della Germania: l’Istituto Economico tedesco (Iw) spiega che i dazi Usa costerebbe a Berlino fino a 25 miliardi nel 2025 e 2026 con impatti sul pil fino allo 0,4% il prossimo anno.
Trattandosi del principale partner commerciale dell’Italia, c’è di che preoccuparsi: secondo Sace, la Germania è il primo mercato di destinazione in assoluto per l’export tricolore, ma nel ‘23 le vendite hanno segnato un -3,5% con 2,8 miliardi persi sul ‘22. Subito dietro c’è la Francia, dove l’andamento dell’export italiano è rimasto positivo: nel ‘23 le merci vendute sono state lo 0,7% per un totale di 63,6 miliardi di euro. Terza sul podio europeo la Spagna, che nel ‘23 ha garantito un +2,5% all’export italiano per 33,1 miliardi.
Tra vecchi partner e nuovi mercati, il made in Italy ha diverse carte da giocare nell’ipotesi nefasta di una guerra commerciale Usa-Ue. Parafrasando i Matia Bazar, anche in caso di dazi americani, per l’Italia «c’è tutto un mondo intorno».