Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca scava un solco tra Wall Street e le Borse Europee. A novembre infatti l’euforia post elettorale ha spinto al rialzo i tre principali indici di Oltreoceano, Nasdaq (+6%), S&P (+5%), Dow Jones (+7,5%) – con questi ultimi due che hanno registrato il migliore mese dell’anno. Sul Vecchio Continente, dove l’Euro Stoxx ha chiuso sulla parità, hanno pesato invece i timori per le politiche di deregulation per i nuovi dazi promessi dal tycoon. In questo contesto, a mettere a segno la performance peggiore è stato il Ftse Mib di Milano, che ha lasciato sul terreno il 2,5%. Hanno chiuso il mese in rosso anche Madrid (-0,3%) e Parigi (-1,6%), che sconta la crisi politica seguita alla discussione del bilancio francese. Discorso diverso per Francoforte (+2,9%), Londra (+2,2%) e Amsterdam (+0,9%), che sono riuscite a difendere i progressi precedenti. Passando all’azionario, a Milano le protagoniste assolute di novembre sono state le banche. (Sole 24 Ore)
Le speculazioni sulla formazione di un terzo polo hanno spinto Mps (+23,61%) e Bpm (+16,27%), che ha acquistato il 5% del capitale dell’istituto senese (quota che salirà al 9% una volta conclusa l’opa su Anima). Il mercato ha invece valutato freddamente l’ops di Unicredit sulla banca milanese, con Piazza Gae Aulenti che ha registrato la peggiore performance tra le blue chip milanesi, perdendo il 10,56%. Tra gli altri titoli, svettano i petroliferi, Tenaris (19,91%) e Saipem (+11,77%), e gli industriali, come Leonardo (+15,93%), che potrebbero beneficiare delle politiche economiche di deregulation promesse da Trump. Sul fronte opposto, giù Moncler e Mediobanca, arretrate entrambe del 9%. L’effetto Trump si sente anche sul mercato delle valute e delle criptovalute: l’euro ha ceduto il 3,1% sul dollaro e al momento scambia a 1,055.
Le Borse europee chiudono senza scosse l’ultima seduta del mese di novembre. Regna la calma anche sul Ftse Mib, che dopo una seduta volatile, termina con un progresso dello 0,46%. In una giornata con pochi spunti anche da Wall Street – aperta solo per mezza giornata dopo la pausa per il Thanksgiving -, gli investitori hanno continuato a interrogarsi sulle prossime mosse delle banche centrali. Dal dato sull’inflazione europea non sono arrivate particolari sorprese. Nonostante l’indice a novembre sia salito al 2,3% dal 2% del mese precedente (contro attese per il 2,4%), è rimasto comunque vicino al target dell’Eurotower e quindi «non dovrebbe mettere in discussione le aspettative di un taglio dei tassi» nella riunione del 12 dicembre, secondo Kathleen Brooks, responsabile della ricerca economica di Xbt. Anzi, considerando l’economia fiacca dell’Eurozona, «è probabile che per il 2025 la Bce intervenga sul costo del denaro a un ritmo molto più rapido rispetto agli Stati Uniti o al Regno Unito», ha aggiunto l’esperta.