Niente di peggio dei conti pubblici per iniziare la settimana. Ma in fondo non sono solo cattive notizie. Guardate il grafico qua sotto: mostra l’andamento dei rendimenti dei titoli decennali di Italia (in blu) e Francia (in verde) e ci ricorda che potrebbe andare molto peggio di così. Non è vero che lo spread è in letargo, il rischio di mercato sul debito pubblico non è solo un ricordo di anni più o meno recenti. A Parigi una potente miscela di instabilità politica e di una serie di brutte sorprese sul deficit sta portando sul debito un’ondata di stress. I titoli decennali della Francia ormai pagano un premio di rischio più alto di quello di Spagna e Portogallo e quasi al livello della Grecia. L’Italia è ancora più indietro, certo (nel grafico la scala dell’Italia è a destra, quella della Francia a sinistra). E sogneremmo di avere rendimenti e rating come quelli di Parigi, confessiamolo. Ma da almeno da sei mesi i rendimenti sul debito francese sono in aumento, quelli italiani in calo; l’agenzia di rating Moody’s ha appena assegnato “prospettive negative” (rischio declassamento) sulla notazione della Francia, mentre Fitch e DBRS hanno dato “prospettive positive” (possibile miglioramento) ai rating dell’Italia. La notizia è dunque che si consuma una crisi di bilancio in Europa, ma per una volta noi non ci siamo dentro (almeno per ora, incrociando le dita). (Corriere della Sera)
Una gestione meno attenta dei conti pubblici di quella attuale da parte del governo ci avrebbe esposto al contagio transalpino. E nuovi tremori sul debito o sugli spread avrebbero avuto un effetto corrosivo molto peggiore, per la crescita, dei tagli di spesa e degli aumenti delle entrate dello Stato che ora ci attendono. Tra l’altro non è solo la Francia il problema, in questa fase. Lo sono certi grandi Paesi del G7 che pensavano – o pensano – di avere il privilegio esorbitante dell’immunità da qualunque dubbio dei loro creditori internazionali: nell’ultimo mese i titoli pubblici i cui prezzi sono crollati di più, dunque il cui costo del debito è salito di più, sono di Stati Uniti e Gran Bretagna. Persino più della Francia. Invece mantengono la loro credibilità sul mercato i Paesi marchiati a fuoco dal trauma della crisi dell’euro, consapevoli di essere vulnerabili e per questo ancora più determinati per questo a non rivivere il dramma dello scorso decennio: Portogallo, Italia, Grecia, Spagna. I cosiddetti “Pigs” se la cavano meglio in questa fase di quelli che amavano tanto questa sigla sprezzante e francamente un po’ razzista dieci anni fa.
Dal 2019 l’area euro è cresciuta del 4,2%, l’Italia del 4,4%. Eppure continuiamo a scivolare indietro nella produttività, cioè nella capacità di creare valore per ora lavorata. Per questo salari e stipendi continuano a perdere potere d’acquisto e l’area della povertà continua ad allargarsi nel Paese. Benché il prodotto lordo sia tornato finalmente sopra i livelli di prima del crash di Lehman, nel 2023 la povertà relativa è cresciuta a 8,5 milioni di persone (la povertà relativa si ha quando il tenore di vita è sotto al 60% del livello mediano).