FINANZA

Materie prime e conflitti, l’intreccio che spinge i prezzi

A due anni e mezzo dall’invasione russa dell’Ucraina, possiamo tranquillamente affermare che, ancora una volta, la forza dei mercati è largamente superiore a quella delle armi. Il grado di resilienza di alcune correnti commerciali, che sembravano interrotte e difficilmente ricostituibili, è stato semplicemente sorprendente. Gli affari prevalgono sulle questioni politiche, sulle battaglie dei valori. Tutte le volte ce ne dimentichiamo. È vero che abbiamo drasticamente ridotto la dipendenza dal gas russo e le quotazioni sono tornate ai livelli precedenti il conflitto. Ma, in ogni caso, nel periodo tra gennaio e maggio scorsi, Mosca ha continuato a coprire direttamente il 10% del fabbisogno italiano mentre è opinione diffusa che non vi siano più rapporti. Non è così. (Corriere della Sera)

I principali fornitori sono Algeria e Azerbaigian che tra l’altro hanno buone relazioni, anche militari, con Mosca. Poi c’è l’enigmatico e discusso Qatar, c’è l’Egitto. Però è anche vero — si pensi soltanto alla Libia — che il petrolio è arrivato e continua ad arrivare anche da Paesi problematici e antioccidentali. È la storia dell’energia. Quello che mi sorprende — è il commento di Susanna Dorigoni, docente di Economia dell’Energia e dell’Ambiente alle università Bocconi e Bicocca — è la generale sensazione, non solo da noi ma anche in altri Paesi europei, di aver ormai risolto i problemi della sicurezza energetica con il Repower Eu. Emergenza finita. Intanto la Russia pesa ancora, se teniamo conto anche della quota di Gas naturale liquefatto (Gnl), per oltre il 16% delle importazioni europee. E ci stiamo consegnando, in alternativa, a Paesi politicamente instabili. Inoltre siamo concentrati, anche giustamente per carità, sull’obiettivo di neutralità carbonica al 2050, nell’illusione che il gas possa essere tolto dalla tassonomia della transizione già nel 2035. Ancora oggi il 50% della nostra produzione elettrica è generata così, con il gas. Certo, le abbondanti piogge primaverili, grazie all’idroelettrico, hanno temporaneamente abbassato questa percentuale. Ma la verità è che avremo bisogno del gas, compreso quello russo, ancora a lungo».

E poi c’è, sul versante delle esportazioni, il festival delle triangolazioni con i tanti Paesi che non hanno condiviso le sanzioni contro Mosca. Non solo la Turchia, largamente preferita. Le nostre esportazioni verso il Kirghizistan, tanto per fare un piccolo esempio, sono cresciute nel febbraio di quest’anno del 2.200% rispetto al 2019. E non per una esplosione di amore locale per il Made in Italy. Un semplice passaggio verso la Russia.

Quello che è accaduto sui mercati agricoli e ancora più significativo. Allo scoppio del conflitto vi era stato un eccesso di enfasi sulla nostra dipendenza dai prodotti dall’Est Europa, con annesse copiose speculazioni. «In realtà — spiega Denis Pantini, responsabile agroalimentare di Nomisma — pur essendo il nostro Paese fortemente deficitario in frumento, soia, mais e olio di girasole, oltre che di carne, olio d’oliva, dipendeva e dipende per le proprie importazioni per il 60% dai Paesi europei, per il 22% dalle Americhe. Il ruolo della Russia era marginale, se si escludono i fertilizzanti. L’Ucraina certamente pesava di più».

Redazione

 

 

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