Attualità e politica

Lavoro a Milano: per i giovani flessibilità e welfare contano più dello stipendio

La situazione è apparentemente sempre quella: da una parte del tavolo c’è il direttore del personale, dall’altra il «candidato». Ma i colloqui di lavoro sono cambiati, si parla sempre di soldi e di carriere, ma prima ancora di formazione, sostenibilità e welfare. E soprattutto, è cambiato il finale: il vecchio classico «le faremo sapere» si è trasformato in «le farò sapere». E alla fine — riferisce il 70% dei manager — c’è chi dice no. (Corriere)

A tratteggiare i nuovi contorni del lavoro è l’edizione numero 34 dell’indagine realizzata da Gidp (l’associazione che riunisce i direttori delle risorse umane) sui rapporti delle aziende con stagisti e neo laureati, cioè i giovani, i nuovi lavoratori. E la prima risposta che arriva dai capi del personale delle 87 aziende coinvolte (in maggioranza dell’area milanese) è una conferma della dinamica affiorata nel post-pandemia: oggi sono i giovani a scegliere le aziende e non il contrario. E scelgono in base a criteri a loro volta cambiati: se dall’indagine del 2023 era emerso che al primo posto c’erano retribuzioni e benefit, nel 2024 i candidati si sono mostrati più interessati al tipo di mansione proposta e alle attività da svolgere. Soltanto dopo si parla di soldi e al terzo posto tra le priorità ci sono questioni come smartworking, conciliazione vita-lavoro, orario flessibile, lavoro per obiettivi.

Aspetti che — non soltanto di conseguenza — anche le aziende dichiarano di tenere in considerazione, ma non sempre incontrano le aspettative dei candidati. E lo stesso vale per le politiche in materia di sostenibilità: tra i giovani lavoratori è molto importante la dimensione ambientale (lo dice il 37,66% dei manager interpellati), come le azioni per la riduzione del consumo di materiali non riciclabili, e a seguire ci sono c’è la dimensione sociale (32,47%) e la governance (29,87%). Dall’altra parte del tavolo, invece, al momento della selezione, una volta accertate le competenze del candidato, le aziende valutano molto anche le cosiddette soft skill, cioè le attitudini le qualità personali. Ecco la classifica secondo la ricerca: innovazione (28%), creatività e originalità (18%), problem solving (14%), discrezione, umiltà e riservatezza (14%), flessibilità (11%), autonomia (5%), leadership (4%), attitudine prendere decisioni (4%), fedeltà (1,3%).

Intanto, i responsabili del personale confermano le crescenti difficoltà nel reperimento di figure tecniche: il 25% delle aziende assume neolaureati che hanno bisogno di ulteriore formazione, e il 22,66% ha difficoltà a trovare neolaureati per posizioni tecniche (era il 18% lo scorso anno). Scenario analogo per quanto riguarda i neodiplomati. Soltanto il 9,38% delle aziende non rileva difficoltà. E per quanto riguarda le forme contrattuali, la più utilizzata nell’ultimo anno è l’apprendistato professionalizzante, che sale al 50% rispetto al 29,55% dell’anno precedente, superando il contratto a tempo determinato, che scende dal 32% del 2023 al 20%. Cala anche la percentuale di aziende che ricorre al tempo indeterminato (20%, contro il 29,55% del 2023).

Nel 70% dei casi, ai neoassunti viene offerta la possibilità di ricorrere allo smartworking, con due giorni a settimana o in modalità mista (23,26%). Una percentuale decisamente più alta rispetto allo scorso anno: senza questa flessibilità è più difficile attrarre giovani. «La nostra indagine conferma che investire nelle persone e nelle loro competenze non è solo una scelta etica, ma una strategia vincente per il futuro — commenta Marina Verderajme, presidente di Gidp —. Le aziende si trovano di fronte a un cambio di paradigma, in cui le priorità dei giovani stanno ridefinendo il mercato del lavoro. Non è più sufficiente offrire una buona retribuzione; i talenti di oggi cercano crescita professionale, formazione continua e un coinvolgimento attivo nei progetti aziendali». Quindi sottolinea: «L’adozione crescente del contratto di apprendistato è un segnale positivo, perché è una porta d’ingresso ma anche un percorso di crescita e formazione. Allo stesso modo, l’estensione dello smartworking ai neoassunti riflette una necessità ormai irrinunciabile di flessibilità e work-life balance, aspetti sempre più richiesti dai giovani. Le aziende che sapranno adattarsi a queste dinamiche riusciranno ad attrarre e trattenere i migliori talenti».

Redazione

 

 

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