Economia

Assegno di inclusione, pagamenti a rischio: Comuni in ritardo su 300mila famiglie

Tempo scaduto per i percettori dell’Assegno di inclusione che non si sono ancora recati dai servizi sociali nei loro Comuni di residenza. A giugno si vedranno sospendere il beneficio. Chi ha richiesto, e ottenuto, l’aiuto a dicembre, aveva 120 giorni di tempo a partire dal 26 gennaio, dunque fino a sabato scorso, per effettuare la cosiddetta “presa in carico”. Nel frattempo, la misura ha raggiunto, a sei mesi dalla partenza, quasi 700 mila nuclei. I numeri li ha snocciolati sabato la ministra del Lavoro Marina Calderone al Festival dell’Economia di Trento: «Con il pagamento del mese di maggio l’Assegno di inclusione, lo strumento che serve per sostenere la parte di assistenza all’inclusione sociale e lavorativa dei fragili, arriverà a 672.926 nuclei familiari. Poi ci sono 29 mila domande che sono in fase di istruttoria». (Il Messaggero)

Risultati incoraggianti, considerato che per quest’anno la platea di beneficiari stimata per il nuovo reddito di cittadinanza riservato ai nuclei con fragilità – per gli altri, gli occupabili, c’è il Supporto per la formazione e il lavoro – ammonta a 734.400 nuclei. Le famiglie che percepiscono l’Assegno di inclusione da gennaio, ovvero quelle che adesso rischiano lo stop al beneficio in caso di mancata “presa in carico”, sono invece circa 300 mila. Le tempistiche del primo incontro con i servizi sociali sono state dimezzate, e portate a sessanta a giorni, per le famiglie che hanno richiesto in seguito la prestazione di sostegno.

La decadenza si applica anche in caso di mancata convocazione da parte dei servizi sociali. In assenza di convocazione, se il nucleo non si presenta spontaneamente subisce in ogni caso la sospensione del beneficio, fino alla data di svolgimento dell’incontro. Come spiegato nelle settimane scorse anche dalla viceministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Maria Teresa Bellucci, per il governo è fondamentale che «l’Assegno di inclusione arrivi a chi ha veramente bisogno e non si traduca in una mera erogazione di denaro, quanto piuttosto in un progetto di presa in carico per aiutare le persone a uscire dalla condizione di necessità». Insomma, l’approccio risulta essere diverso da quello adottato con il vecchio reddito di cittadinanza, uno strumento che in pandemia si è rivelato un prezioso “salvagente” per le famiglie in condizione di povertà, senz’altro, ma sul quale poi è calato il sipario, alla fine del 2023, perché inefficace dal punto di vista delle prese in carico, dei percorsi di qualificazione e riqualificazione professionale e degli inserimenti nel mondo del lavoro dei percettori dell’aiuto.

Tornando all’Assegno di inclusione, le revoche colpiranno soprattutto al Sud. Le maggiori criticità si riscontrano, infatti, in Campania e Sicilia, ovvero nelle due regioni che accolgono il maggior numero di percettori, e dove i Comuni hanno bisogno di più tempo per riuscire a gestire, e a prendere in carico, un numero così elevato di persone. L’Adi è riconosciuto alle famiglie con un Indicatore della situazione economica equivalente fino a 9.360 euro e con al loro interno almeno un componente disabile, o minorenne, o con almeno 60 anni di età, o in condizione di svantaggio e inserito in un programma di cura e assistenza dei servizi sociosanitari territoriali. Rispetto al vecchio reddito di cittadinanza, adesso i controlli vengono eseguiti alla fonte, ovvero prima di concedere il pagamento. Una delle principali debolezze del sussidio introdotto nel marzo del 2019, del resto, era proprio quella di prestare il fianco ai furbetti, che spesso hanno approfittato dei controlli “a valle” condotti dall’Inps e dalla Guardia di Finanza per inserirsi nella platea dei beneficiari, pur non possedendo i requisiti richiesti, e rimanerci un bel po’ di tempo.

L’importo medio dell’Assegno di inclusione supera i 600 euro. La prestazione impegna attorno ai 350 milioni al mese. La spesa per il vecchio sussidio, al contrario, in alcuni mesi toccava quota 700 milioni di euro. Il Supporto per la formazione e il lavoro, che porta nelle tasche delle persone che ne hanno diritto 350 euro al mese e che è partito a settembre del 2023, nei primi sei mesi di attività ha assorbito, infine, poco più di sessanta milioni di euro.

Redazione

 

 

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