Se c’è un filo conduttore dei rinnovi dei contratti di lavoro di questo ultimo periodo, è il fatto di aver posto al centro la questione salariale e di aver concentrato una parte importante dei negoziati proprio sull’aumento economico. L’inflazione e il dibattito sul salario minimo hanno fatto riprendere slancio alla rappresentanza datoriale e sindacale. A dircelo sono i rinnovi e l’aggiornamento di contratti collettivi nazionali di lavoro ancora vigenti a cui si è assistito negli ultimi mesi. L’importo degli aumenti, sempre molto elevati, mostra la centralità che in questa fase ha assunto la parte economica, dai 435 euro dei bancari Abi, ai 280 euro dell’alimentare, fino ai 240 euro del terziario. Se questi importi consentiranno di recuperare il potere di acquisto o avranno bisogno di un ritocco per raggiungere l’obiettivo lo vedremo nei prossimi mesi: l’inflazione, come ci dicono gli ultimi dati, è ancora instabile. (Sole 24 Ore)
Le ultime rilevazioni Istat parlano di un rimbalzo nel mese di marzo, quando, secondo le stime preliminari, il dato tendenziale annuo è stato del +1,3%, rispetto al +0,8% di febbraio e al + 0,6% di gennaio. La lieve accelerazione pone di fronte a una dinamica instabile. Il ricercatore Adapt, Michele Dalla Sega, osserva che «in periodi di inflazione incerta è difficile capire che ruolo possono avere gli aumenti definiti nei rinnovi per il futuro. Possiamo senz’altro dire che è stato recuperato il passato, anche grazie all’erogazione di importi una tantum e agli adeguamenti ex post come nel caso dei metalmeccanici, ma per il futuro c’è troppa incertezza per poter dire che certamente verrà recuperato il potere di acquisto. Dipenderà dalla dinamica inflattiva che si presenta sì in flessione, ma è ancora molto instabile».
Se prendiamo i principali accordi sui rinnovi contrattuali dell’ultimo anno, è evidente che il fulcro dei negoziati è stata la parte economica, con la decisione di corrispondere l’importo più pesante dell’aumento già dai primi mesi della vigenza contrattuale, pur essendo stata fatta molta manutenzione anche su quella normativa soprattutto sui temi degli inquadramenti, sul rafforzamento o allargamento dell’area contrattuale, sulla flessibilità e sul welfare. «I rinnovi di questo ultimo anno, hanno concentrato buona parte del negoziato sull’aumento economico. Essendoci un’emergenza salariale e risorse limitate le parti hanno scelto di intervenire soprattutto sui minimi di settore. Alcune categorie che già avevano rinnovato il contratto, come la chimica farmaceutica, hanno voluto dare un ulteriore segnale anticipando gli aumento già previsti, su un rinnovo che già c’era. Questo evidenzia la forte attenzione alla questione salariale», spiega Dalla Sega.
Il record dei record degli aumenti contrattuali è sicuramente quello raggiunto dai bancari Abi che hanno sfruttato l’onda dei maxiutili delle banche per farsi riconoscere un aumento mensile per il livello medio di riferimento di 435 euro, oltre agli arretrati. L’accordo raggiunto da Fabi, First, Fisac, Uilca e Unisin con Abi a novembre del 2023 ha previsto la corresponsione degli arretrati per il periodo luglio-novembre del 2023, ma anche il ripristino pieno della base di calcolo del trattamento di fine rapporto a partire da luglio del 2023. Se l’aumento di 435 sarà corrisposto in 4 tranche, va però detto che la prima, arrivata in dicembre, è stata di 250 euro, quasi il 60% dell’aumento complessivo. La seconda tranche di 100 euro arriverà a settembre di quest’anno, poi 50 euro a giugno del 2025 e 35 euro a marzo del 2026.
L’ultimo accordo siglato che ha fatto da apripista nel grande settore del terziario è stato quello di Confcommercio e Confesercenti con Filcams, Fisascat e Uiltucs che interessa tre milioni di lavoratori: dopo 4 anni l’intesa ha portato a un aumento di 240 euro oltre a 350 euro di una tantum. La prima tranche di 70 euro arriverà nella busta paga di aprile e andrà ad aggiungersi ai 30 euro definiti con l’accordo ponte del 2022. Per il livello medio di riferimento (quarto) il montante complessivo arriverà a superare i 7mila euro. Stesso copione per la distribuzione cooperativa che ha raggiunto l’accordo poco dopo, mentre manca ancora all’appello la grande distribuzione dove è saltato l’accordo – con tanto di sciopero il sabato di Pasqua e una nuova protesta annunciata per il 25 aprile – e Federdistribuzione ha deciso di andare avanti dando in maniera unilaterale una prima tranche di aumento di 70 euro, con l’auspicio che ci possa tornare velocemente al tavolo per trovare l’accordo. Se la partita del terziario è in via di definizione, mancano invece all’appello tutti i contratti del turismo. «In questo ultimo periodo, la rappresentanza è stata messa molto in discussione – interpreta Dalla Sega -. Pensiamo a tutto il dibattito sul salario minimo che si è acceso la scorsa estate: di fronte a un’inflazione così alta, la politica si è interrogata su come sostenere il recupero del potere d’acquisto, soprattutto delle fasce di reddito più deboli, e su come incentivare i rinnovi dei contratti. Se è vero che gran parte dell’industria aveva le carte in regola, c’è tutto un mondo, quello del terziario e del turismo, dove lavorano molti milioni di lavoratori e dove i contratti erano scaduti da molti anni. Questo ha messo in discussione una rappresentanza datoriale e sindacale che con gli ultimi rinnovi e gli importanti riconoscimenti economici concordati ha ritrovato slancio. E ha ritrovato slancio anche la contrattazione che è la sede da cui arrivano le risposte economiche, tanto sui minimi contrattuali, quanto attraverso gli importi una tantum presenti ormai in tutti gli accordi».
A pochi mesi dalla scadenza del contratto, i 400mila lavoratori dell’industria alimentare hanno avuto un aumento di 280 euro a cui si è accompagnato anche un sostanziale miglioramento del welfare sanitario e previdenziale, oltra a una piccola riduzione oraria, un tema che è stato molto dibattuto negli ultimi negoziati. Considerando la manifattura, gli alimentaristi sono i primi ad avviare una piccola sperimentazione. La durata del contratto sarà quadriennale con decorrenza dal primo dicembre del 2023 al 30 novembre del 2027 e la distribuzione delle tranche di aumento ha fatto sì che nei primi 14 mesi di vigenza dell’accordo i lavoratori possano recuperare 170 euro, il 60% dell’intero aumento. L’intesa prevede infatti che a decorrere dal primo dicembre 2023 arrivino 55 euro di incremento aggiuntivo della retribuzione, il cosiddetto Iar, oltre a 20 euro sul trattamento economico minimo. Poi da settembre altri 35 euro, da gennaio 2025 60 euro e da gennaio 2026 60 euro. A gennaio 2027 arriveranno 39 euro sul Tem e da settembre 2027 altri 11 euro dello Iar. Il montante complessivo di questo contratto, considerando il livello medio di riferimento supera i 10mila euro.
Uno dei settori che è stato maggiormente interessato dal dibattito sul salario minimo è stato sicuramente la vigilanza che dà lavoro a oltre 100mila persone, per via dei minimi retributivi molto bassi per i servizi fiduciari. Le retribuzioni molto basse hanno anche fatto accendere il faro della magistratura su alcune società che hanno poi scelto di aggiornare i livelli retributivi. La questione salariale ha portato a un doppio accordo sindacale sul contratto: il primo è stato raggiunto a maggio del 2023, quando Anivip, Assiv, Univ, Legacoop produzione e servizi, Agci servizi e Confcooperative lavoro e servizi hanno trovato l’accordo con Filcams, Fisascat e Uiltucs per un aumento di 140 euro per il livello medio di riferimento, con decorrenza dal primo giugno 2023 al 31 maggio del 2026. Oltre a una una tantum di 400 euro. L’accordo è poi stato aggiornato lo scorso febbraio, portando a 250 euro l’aumento totale per le guardie armate e a 350 euro quello per il livello medio dei servizi fiduciari.