Economia

Istat: recessione tedesca e alti tassi, i rischi per la competitività delle imprese italiane

L’inflazione scende più rapidamente del previsto, una riduzione dei tassi è ormai alle porte. Tuttavia, se questa strada non dovesse essere imboccata le conseguenze per l’economia reale sarebbero molto pesanti. L’Istat, nel XII rapporto sulla competitività dei settori produttivi, è chiara: in caso di mantenimento del costo del denaro ai livelli del 2022-23 (solo lo scorso anno sono sei le decisioni al rialzo della Bce) almeno un quarto delle 800mila imprese italiane – soprattutto nel terziario – andrebbe in sofferenza. In particolare si potrebbe assistere ad un passaggio nella zona definita “a rischio”, o addirittura “fortemente a rischio”, invertendo di fatto un processo che aveva visto le società di capitali irrobustirsi decisamente nel periodo 2011-2022. I tassi alti hanno già messo a dura prova le imprese: L’inasprimento della politica monetaria ha provocato, dal 2022 e per tutto il 2023, un diffuso peggioramento delle condizioni di finanziamento per le imprese manifatturiere (a fine 2023 la quota di chi lo segnalava era cinque volte più elevata rispetto al periodo 2015-2019), in particolare a causa dell’aumento dei tassi d’interesse, che ha aumentato anche i casi di “domanda scoraggiata”: a fine 2023 quest’ultima spiegava oltre la metà dei casi di mancato ottenimento del credito. (Sole 24 Ore)

La dodicesima edizione del Rapporto sulla competitività dei settori produttivi – presentata al Politecnico di Torino dal presidente Istat, Francesco Maria Chelli, e dalla direttrice del Dipartimento per la Produzione Statistica, Monica Pratesi – si pone l’obiettivo, in continuità con quella dello scorso anno, di analizzare gli effetti degli shock che dal 2020 hanno colpito in sequenza l’economia italiana, valutandone le conseguenze sul tessuto produttivo, sulla performance del sistema e sui comportamenti d’impresa; nel fare ciò ci si avvale della disponibilità di nuove basi dati che consentono di riprendere e ampliare i risultati e le analisi preliminari presentate nella scorsa edizione. Il Rapporto analizza lo scenario complessivo: nel 2023 lo scenario economico internazionale ha continuato a essere caratterizzato da una forte incertezza, alimentata da tensioni geopolitiche – in particolare dalle guerre – e dagli effetti restrittivi della politica monetaria; ne è conseguito un rallentamento della crescita globale, meno accentuato negli Stati Uniti e in Cina, più evidente in Europa. In questo contesto spicca l’andamento dell’economia tedesca: la recessione in Germania, il nostro principale partner commerciale, ha costituito un ulteriore fattore di rallentamento per la crescita italiana.

Secondo il modello macroeconomico dell’Istat, nel 2023 la decelerazione del commercio mondiale avrebbe ridotto di 3,7 punti percentuali la crescita delle esportazioni di beni italiani in volume, di 1,5 punti quella delle importazioni e di 0,8 punti quella del Pil. Gli effetti imputabili alla sola recessione tedesca sarebbero pari a 1 punto di export, 0,3 punti di import e 0,2 punti di Pil. Un esercizio di simulazione contenuto nel Rapporto evidenzia che, nel periodo 1995-2020, la progressiva dipendenza economica dell’Italia dalla Germania, più ampia di quella della Germania dall’Italia e cresciuta negli ultimi decenni, si è ridotta nel periodo pre-pandemico ed è aumentata quella nei confronti degli altri paesi, tra cui Francia, Usa e Spagna. Le stesse tendenze si riscontrano per la rilevanza della produzione italiana per quella tedesca.

Gli effetti della contrazione della domanda tedesca investono settori e imprese in misura differenziata. La caduta di valore aggiunto più ampia si sarebbe riscontrata nella Manifattura (-0,6 per cento), a riflesso in primis del peso preponderante del comparto sull’export nazionale (oltre l’80 per cento nel 2021). Gli effetti sui singoli settori risentono delle peculiarità dei rispettivi sistemi esportatori; l’impatto più ampio si osserva sul valore aggiunto della Metallurgia, in particolare per le imprese di piccole e media dimensione e per quelle con un grado medio di coinvolgimento nelle GVC. In sofferenza risultano anche le medie imprese di Chimica e Farmaceutica, e le multinazionali a controllo italiano nel comparto degli Apparecchi elettrici. Del resto nel 2023 la Germania rappresentava il principale mercato di destinazione per le quantità esportate di questi settori, con una quota in crescita (esclusa la Farmaceutica) rispetto al 2019.

Nel 2023 il persistere della dinamica inflazionistica ha aperto un evidente divario tra l’andamento degli scambi in valore e in volume. A parte il caso degli Autoveicoli (+6,5% in volume, a fronte del +15,1% in valore), gli andamenti dei prezzi hanno sostenuto la dinamica delle vendite in valore, a scapito delle quantità, nei Macchinari (-2,9%, a fronte del +8,8% in valore)  che confermano una tendenza già emersa l’anno precedente , nell’Alimentare (-3,1% in volume, +7,0% in valore), nelle Bevande (-4,4 e +2,1% rispettivamente), nella Farmaceutica (-1,5 e +2,9%). Coke e raffinazione (-9,3% in volume, -23,4% in valore), Carta (-18,5 e -14,5%), Legno (-13,7 e -8,4%) e Prodotti da minerali non metalliferi (-14,1 e -6,5%) si segnalano invece per una contrazione delle vendite all’estero sia in valore sia in quantità.

Redazione

 

 

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