La premier Giorgia Meloni ha ribadito la volontà di portare a termine un processo di privatizzazioni affermando che l’obiettivo di cedere 20 miliardi di asset in tre anni «si può fare». Per arrivare al 2026 con qualche risultato è necessario che ora, oltre ad annunciare, si comincino ad avviare le procedure necessarie per poter procedere alle dismissioni. (Il Sole 24Ore)
Al momento ancora nulla di ufficiale è stato fatto. Le operazioni più facili da realizzare velocemente sono naturalmente le società quotate. Ancora di più lo sono quelle aziende per le quali l’ultimo governo prima dell’avvento dell’esecutivo giallo-verde, dunque ben prima della pandemia, aveva già immaginato un percorso di cessione. Torniamo quindi al governo Gentiloni, tre anni dopo la quotazione in Borsa di Poste Italiane . Allora si immaginava di andare avanti con una nuova tranche della società dei recapiti da mettere mercato; di pari passo si intendeva procedere alla vendita di una quota di Eni , dopo che la società avesse realizzato operazioni di buyback in modo tale da arrotondare in eccesso le partecipazioni azionarie dei soci e creare un nuovo cuscinetto di titoli che il Mef potesse vendere sul mercato.
Non a caso, l’esecutivo Meloni riparte proprio da lì. Un aspetto che andrebbe, però, rilevato è che i corsi azionari di queste due società oggi non sono ai massimi: il titolo Poste Italiane viaggia attorno a 10 euro, sotto gli oltre 11 euro raggiunti a inizio 2019. Eni è tornata ai livelli pre pandemia, a quota 15 euro, dopo che una parte del piano di buy back è già stata avviata e dopo gli anni d’oro dei cosiddetti extraprofitti fatti quando il prezzo del gas è arrivato alle stelle.
Le difficoltà arrivano quando si vuole andare oltre questi obiettivi che sono, tutto sommato, a portata di mano. Non basta fare l’elenco delle partecipate pubbliche per avere automaticamente la lista delle società da vendere. Enel , ad esempio, non rientra tra le papabili: qui la quota dello Stato è sceso al 23,5%, sotto il livello minimo oltre il quale un potenziale “scalatore” dovrebbe lanciata un’offerta di acquisto obbligatoria sul 100 per cento del capitale, e cioè il 25 per cento.
Anche società come Enav e Leonardo sono da escludere, seppure per motivi diversi. Il titolo Enav è arrivato ai minimi storici; in ottobre è finito al di sotto del prezzo di collocamento dell’Ipo, scendendo a 3,1 euro. Oggi è risalito al prezzo di collocamento e galleggia. Le azioni Leonardo, invece, hanno preso il volo da qualche mese, passando da 11 a 16 euro. Cedere partecipazioni in queste società significa, in ogni caso, incassare qualche centinaio di milioni di euro. Poca cosa rispetto ai 4-5 miliardi che potrebbero arrivare dalle cessioni di Poste ed Eni. Leonardo, poi, opera nel settore della difesa: la premier Meloni insiste molto sul controllo delle partecipate che deve restare in mano pubblica; difficile immaginare che in Leonardo si scenda sotto al 30 per cento.