Dalla legge Rognoni-La Torre, sulla confisca dei beni dei mafiosi come mezzo per contrastarne le azioni illecite, sono stati acquisiti oltre 36mila beni, per un valore totale di molti miliardi di euro.
Come si legge sull’edizione odierna de La Stampa, la legge n. 109/96 ha chiarito che la confisca dei beni, oltre a togliere alle organizzazioni di stampo mafioso il potere del denaro accumulato illegalmente, ne ha conferito una valenza etica, sociale ed economica, ossia restituire quei beni alla collettività e ai territori che ne hanno subìto la presenza e creare circuiti virtuosi di crescita.
L’utilizzo dei bei confiscati è un fenomeno di enorme portata, non esente da ostacoli: tra gli altri, l’insufficienza di informazioni che l’Agenzia delle Entrate riesce a fornire ad associazioni e Comuni, nonché di risorse, di cui molti Comuni, specie i più piccoli, non dispongono a sufficienza al fine di gestire adeguatamente i beni e finanziare il personale competente.
Per ovviare a tali difficoltà, dallo scorso anno l’Agenzia prevede l’assegnazione dei beni direttamente alle associazioni e ai soggetti del “privato sociale”, un aiuto sì, ma che necessita allo stesso modo di finanziamenti.
Un sostegno concreto potrà venire dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, con nuovi fondi e con l’assunzione di risorse giovani, più preparate e motivate.