“La storia non contempla sentenze definitive. Le sentenze non possono essere contemplate come la meta ultima di un processo a carattere storico”, ad affermarlo è Paolo Mieli, ex direttore de La Stampa e del Corriere della Sera.
“Anzi se si parla di studio del passato, il verdetto finale deve sempre essere considerato provvisorio. I verdetti interessano solo perché li si può – o meglio li si deve – mettere in discussione”, ed è proprio quello che fa Mieli nel suo ultimo saggio “Il tribunale della storia. Processo alle falsificazioni (ed. Rizzoli, 2021).
Da Fidel Castro a Mussolini, da Vittorio Emanuele III a Gesù di Nazareth, Mieli studia gli aspetti nascosti dei grandi del passato. Uno su tutti Fidel Castro: per lui il compito era convertire i cittadini all’unica vera fede, che era l’ideologia del regime. Mieli trova delle correlazioni tra Castro e i gesuiti del Paraguay. Quali? Anche i gesuiti aspiravano ad uno Stato teocratico, in cui coltivavano solo alcuni lati dell’essere umano. Lo Stato doveva essere uno Stato morale. Così anche per Fidel Castro e non stupisce, quindi, per Mieli che l’ultimo sovrano comunista del XX secolo sia “l’erede ideale dei monarchici cattolici del passato”.
Il vero processo, dunque, è quello contro le falsificazioni, ed “il risultato del lavoro del tribunale della storia, tribunale che nell’era dell’informazione diffusa è sempre riunito. In seduta permanente”.