Secondo la direttiva europea sulla plastica e in base alle linee guida diffuse alcune settimane fa, a partire dal prossimo 3 luglio posate, piatti, cannucce, aste per i palloncini e contenitori per alimenti non potranno più essere realizzati in plastica, anche se biodegradabile.
Come evidenzia Milena Gabanelli su Data Room – Corriere della Sera, in questo modo si colpisce in modo evidente l’Italia che da sola ha il 60% del mercato europeo dell’usa e getta e soprattutto da anni investe nella plastica biodegradabile e compostabile. La direttiva ammette solo prodotti fatti con i polimeri non modificati, come la cellulosa, escludendo, per esempio, i piatti in carta ricoperti da un sottile velo di plastica. A risentirne in Italia 280 aziende con 2.780 addetti, e un fatturato annuo di 815 milioni di euro.
Cnr e Iupac definiscono bioplastiche quelle che si ottengono da materiali biodegradabili e compostabili. Ciò che conta non è tanto la materia prima con cui sono realizzate ma la struttura chimica e il tempo che impiegherà per biodegradarsi. L’Italia produce il 66% di tutta la plastica biodegradabile d’Europa.
L’Associazione Europea per le bioplastiche, invece, considera bioplastica “ciò che è biodegradabile, ma anche ciò che deriva da fonte rinnovabile”. Secondo il Cnr questa tipologia di plastica non si può, invece, definire bio perché, sebbene il ciclo di produzione generi meno gas a effetto serra e presenti un’impronta di carbonio più bassa, spesso non si degrada.
L’Italia, che è leader nella filiera dell’imballaggio e dei prodotti monouso, ha chiesto, per piatti e bicchieri, di poter inserire oltre alla carta un sottile strato di plastica.
Secondo la normativa, dal 2024 i produttori dovranno sostenere i costi delle attività di raccolta e di pulizia di alcuni prodotti, che sono oggi a carico del cittadino e solo per il 35% a carico loro. Entro il 2025 bisognerà riciclare almeno il 77% delle bottiglie di plastica e il 90% al 2029. Negli imballaggi, l’Italia già ricicla il 47% a fronte del 30% della media europea.