Tra due giorni l’Iran voterà per il nuovo presidente per quelle che si prospettano come “Entekhabate mohandesishode”, ovvero “elezioni ingegnerizzate”. Si tratta infatti di un voto programmato e organizzato per portare alla presidenza Ebrahim Raisi, un mullah (prete) a capo della magistratura e candidato favorito dalla Guida Suprema Alì Khamenei nonché suo delfino alla successione.
Come racconta il Corriere della Sera, Raisi non ha grande stima a livello internazionale. È stato uno dei quattro membri della “Commissione della morte” del 1988 che, senza alcun processo, mando all’esecuzione almeno tremila prigionieri politici, che per qualcuno arrivano a 30mila.
Anche in Iran, in realtà, la sua immagine non è delle migliori. Si è candidato alle presidenziali del 2017, presentandosi come “giudice anti corruzione”. Il suo candidato allora era Hassan Rouhani, l’attuale presidente, che in un dibattito tv gli disse: “gli iraniani non accetteranno chi ha impiccato e incarcerato persone per gli ultimi 38 anni”.
Questa volta il suo avversario più temibile è Abdolnaser Hemmati che, sempre in tv, lo ha accusato di conflitto di competenze, considerando il suo ruolo a capo della magistratura. Hemmati, governatore della Banca centrale, difensore della moneta, è nei sondaggi sfavorito, con un 4% dei voti, mentre l’ultraconservatore Ebrahim Raisi ha il 60% dei consensi.
Raisi ha il sostegno dell’intero gruppo conservatore e della Guida Suprema che è intervenuta per eliminare i potenziali concorrenti. Di 600 candidati ne sono stati ammessi solo sette.