“Siamo agli ultimi posti al mondo per la libertà di stampa, e ci giochiamo il primato con Cina e Iran per numero di reporter in carcere. Accuse pretestuose per “terrorismo” ti portano dietro le sbarre. E se non appoggi apertamente il governo, finisci per strada”, lo dichiara a La Stampa la giornalista Ipek Yezdani, già corrispondente dalle Nazioni Uniti per il Cumhuriyet, il principale quotidiano repubblicano e di sinistra, poi reporter per Hurriyet.
Così Ipek Yezdani racconta come in Turchia il mestiere del giornalista è compromesso, tanto da far posizionare il paese alla 154esima posizione nella classifica della libertà di stampa. “Essere imparziali non basta più”: ad Ankara non solo non si può andare contro il governo, ma bisogna mantenere una posizione pro-governativa.
“Il governo non interviene direttamente, preferisce utilizzare imprenditori amici per prendere il controllo dei principali gruppi mediatici e poi indirizzarli”, spiega a La Stampa la giornalista.
È quanto è successo a lei mentre era una firma di Hurriyet. L’editore Aydin Dogan ha ricevuto fortissime pressioni dallo Stato e dopo un anno e mezzo in cui ha difeso tutti i suoi collaboratori, ha ceduto e ha venduto la testata a Yildirim Demiroren, uomo vicino al potere.
“Era il 2018. Il nostro direttore ha resistito e ci ha difesi per un anno e mezzo. Poi è stato costretto a dimettersi, e sono scattati i licenziamenti, mirati, 35. La maggior parte di quelli che non sostenevano la linea governativa. Non ci hanno pagato neanche la liquidazione”, conclude Yezdani.
Essere giornalista oggi in Turchia non è cosa facile e chi non ha appoggia la linea di Erdogan “finisce per strada”.