Secondo i dati raccolti dalla Procura di Gorizia, la metà dei dispositivi di protezione individuale che la struttura commissariale ha importato dalla Cina non protegge e la documentazione turca che ne attesta la conformità alle direttive Ue è contraffatta.
Come racconta Repubblica, i lotti a rischio contengono mascherine Ffp2 e Ffp3 che hanno capacità filtranti dieci volte inferiori agli standard: 250 milioni di mascherine acquistate nei primi sette mesi dell’anno da Domenico Arcuri, validate dal Cts e distribuite nelle strutture di tutta Italia.
60 milioni di queste mascherine sono state bloccate nei depositi della Struttura commissariale il 31 marzo dalla Guardia di finanza, ma il problema sono i 190 restanti milioni già distribuiti e che ora le direzioni sanitarie generali stanno cercando di bloccare con l’invio di circolari urgenti.
Il lotto incriminato corrisponde alla metà degli acquisti di Arcuri: in tutto sono 300 milioni di dispositivi Ffp2 e 231 milioni di Ffp3 gli ordini sul mercato estero parte dell’ad di Invitalia, allora Commissario per l’emergenza.
Il tutto nasce quando a febbraio i presidi sanitari di Gorizia e Monfalcone mandano due esposti al procuratore capo indicando che le mascherine in loro dotazione non aderiscono bene al volto e il materiale risulta evidentemente scadente. I finanzieri vanno così a ritirare il lotto e lo fanno analizzare: si evince che in alcuni casi la capacità filtrante (che è del 95% per le Ffp2 e del 99% per le Ffp3) risulta dieci volte inferiore agli standard.
Il pm ha ipotizzato reato di frode in commercio, che potrebbe diventare ora frode in pubbliche forniture. La struttura commissariale risulterà come parte lesa, avendo il Cts validato i dispositivi, sebbene, in deroga alla normativa Ue, non ci sia stato il tempo per sottoporre il materiale ai test intensivi.