Luiz Inacio Lula da Silva ha riconquistato i suoi diritti politici da marzo, dopo l’annullamento delle sue condanne, ed è pronto a ricandidarsi alla presidenza del Brasile nel 2022 o a sostenere il candidato con buone probabilità di farcela.
“Sinceramente non lo so. Ho 75 anni. Nel 2022, al momento delle elezioni, ne avrò 77. Se sarò ancora in salute e ci sarà una convergenza tra i partiti progressisti sulla mia candidatura, beh, allora non vedo alcun problema. Ma sono già stato candidato prima, e sono stato presidente per due mandati. Posso anche dare il mio appoggio a qualcuno che abbia buone possibilità di farcela. La cosa più importante è non lasciare Jair Bolsonaro alla guida di questo Paese”, afferma l’ex presidente di sinistra del Brasile in una lunga intervista a La Stampa.
“Sono in politica dagli Anni ’70 e non ho mai visto la mia gente soffrire come in questo momento. Si muore all’entrata degli ospedali, è tornata la fame. E, di fronte a ciò, abbiamo un presidente che preferisce acquistare armi da fuoco, piuttosto che libri e vaccini. Il Brasile è guidato da un presidente genocida. È davvero molto triste. Quello che la gente vuole è ciò che il Partito dei Lavoratori ha offerto in un passato molto recente: uno stipendio, un lavoro, vaccini, istruzione, crescita. Penso che sia possibile ricostruire un Paese più umano. Durante la mia presidenza, il Brasile aveva il 4,5% di disoccupazione, un salario minimo che aumentava ogni anno. Era una specie di miracolo, la sesta potenza mondiale”, sostiene Lula.
Alle prossime elezioni, il Partito dei Lavoratori (PT) sarà pronto a stringere nuove alleanze: “Il PT, alle elezioni presidenziali, ottiene sempre almeno il 30% dei voti al primo turno. Ma la maggioranza è del 50%, più un voto. Quindi, ovviamente, se il PT vuole vincere, deve allearsi. Ma qui ribadisco una cosa: ho sempre governato per tutti i brasiliani. Ho governato anche per banchieri e dirigenti d’azienda. Ma la mia priorità saranno sempre i più poveri, i lavoratori, gli abitanti delle periferie. Perché il dovere del PT è permettere l’ascesa sociale di questa popolazione e porre fine alle diseguaglianze, in un Paese segnato da 350 anni di schiavitù”.
Il Brasile è un paese ormai allo stremo, lacerato dalla povertà e dall’epidemia di Covid-19 che non sembra voler rallentare: “Durante questa pandemia, la disoccupazione e la fame sono aumentate. Non è tollerabile. Al mio ritorno in Brasile il 12 marzo, la pandemia era già arrivata. Sono stato confinato. Mi è apparso chiaro che il Paese era diventato l’epicentro dell’epidemia. Cosa possiamo dire con 3000 morti al giorno? È responsabilità del nostro governo. Io mi prendo quindi le mie per dedicarmi alla gestione di questa crisi. Ho già preso una dose del vaccino. Tra quattordici giorni avrò la seconda. Trascorro le mie giornate facendo incontri su Internet dalla mattina alla sera”.
Lula non è assolutamente d’accordo con la gestione dell’emergenza da parte dell’attuale presidente Jair Bolsonaro: “Al manifestarsi del Covid 19, un presidente capace di governare avrebbe creato un comitato di crisi. Cosa ha fatto il nostro governo? La prima cosa che ha detto è che non credeva nella malattia. Bolsonaro ha detto infatti che il Covid è una “piccola influenza” e che, essendo un membro dell’esercito, non l’avrebbe presa. Ha inventato la storia della clorochina. E ne ha comprate milioni di dosi da Donald Trump. Si è fatto ingannare come un bambino che va a comprare le caramelle. Ha speso milioni per acquistare questo prodotto inefficace contro il virus. L’unica cura è vaccinare il popolo brasiliano”, sostiene a La Stampa.
Infine, Lula rivolge un invito agli altri leader affinché si lavori insieme per vincere “la guerra” della pandemia: “Dall’inizio della pandemia né il G20 né il G8 si sono riuniti per parlarne. È urgente farlo! Mi appello al presidente francese Macron: convochi il G20. Chiami Joe Biden, Xi Jinping, Vladimir Putin e gli altri. Siamo in guerra, questa è la terza guerra mondiale e il nemico è molto pericoloso. Il vaccino non dovrebbe essere una merce come è oggi, ma diventare un bene comune per l’umanità”.