In Israele si vive ormai una vita che assomiglia sempre più alla normalità. Con il green pass si va al ristorante e a teatro, si possono riunire fino a cento persone e si pensa di poter eliminare l’utilizzo della mascherina. Le strutture, come bar e locali, si stanno attrezzando per fare i test a chi ancora non ha il pass. Gli aeroporti sono ancora semichiusi, ma, grazie agli accordi presi dal premier, si può viaggiare verso Grecia, Cipro e Georgia.
Come spiega Fiamma Nirenstein su Il Giornale, in Israele si è passati da un picco di 79 decessi al giorno a gennaio alle 16 vittime giornaliere. Dal 20 di dicembre è stato vaccinato il 90% degli ultra cinquantenni, il 51% degli studenti tra i 16 e i 19 anni, il 60% dei cittadini tra i 20 e i 29 anni, il 46% fra i 30 e i 39 e l’81% fra i 40 e i 49. Complessivamente, 4,2 milioni di abitanti hanno ricevuto entrambe le dosi del vaccino e 5,1 milioni solo la prima dose. L’Rt è sceso allo 0,76 e il tasso di positività è caduto al 2,4%.
Il tutto è stato permesso dalla stretta collaborazione di Benjamin Netanyahu con l’azienda Pfizer: “Trenta volte mi ha chiamato, sì, letteralmente. Mi ha travolto il suo atteggiamento ossessivo. Una volta gli ho detto “Primo ministro sono le tre di notte”. Mi ha spiegato – racconta il ceo Pfizer Albert Bourla – perché Israele era il Paese più adatto per la missione del vaccino: né grande né piccolo, 9 milioni di abitanti, servizi sanitari capillari, organizzazione ferrea, deciso alla sopravvivenza”.