Da ogni dolore dovremmo riuscire a trarre un senso e, soprattutto, uno stimolo ad andare avanti e ad imparare. È quello che non riusciamo a fare e con la pandemia non abbiamo fatto altro che rafforzare questa tendenza.
Come racconta Il Giornale, siamo pronti a sacrificare tutto, pur di non affrontare il dolore. Lo spiega il filosofo Byung-Chul Han in La società senza dolore (Einaudi). Critica la “società palliativa” che ha “un atteggiamento di rifiuto nei confronti del dolore”.
Guardando alla pandemia, che di fatto non viene mai menzionata esplicitamente, ma aleggia nel racconto, le persone la percepiscono come senza senso e per questo si indeboliscono: “Una caratteristica cruciale dell’odierna esperienza del dolore consiste nel fatto che esso venga percepito come privo di senso. L’intera narrazione cristiana l’ha abbandonato per sempre”.
Questo perché, come spiega il filosofo, spesso la malattia porta ad una ricerca di Dio, eppure da un anno a questa parte anche la religione sembra essere succube di una corrente, l’ambientalismo, che attribuisce l’emergenza sanitaria ai peccati commessi dall’uomo. Viviamo in una società senza dolore: “Le crescenti aspettative nei confronti della medicina, associate all’insensatezza del dolore, fanno sembrare insopportabili i dolori più insignificanti”.
“Nella società palliativa disimpariamo totalmente come si fa a rendere il dolore raccontabile, anzi cantabile, a renderlo linguaggio, a traghettarlo in una narrazione”, per questo sacrifichiamo anche le nostre libertà. Per Byung-Chul Han il liberismo occidentale fallisce davanti al virus: “A causa del dispositivo d’igiene, la società della sopravvivenza si vedrà obbligata a rinunciare ai principi liberali”.