Che le infrastrutture bloccate, i cantieri aperti, le opere in stand-by da anni per le lungaggini burocratiche, siano un problema esistente da anni, e da decenni, in Italia, Mario Draghi lo sa bene.
Nelle Considerazioni finali all’assemblea della Banca d’Italia, qualche mese prima di spostarsi a Francoforte alla presidenza della Bce, Draghi aveva condannato “incertezza dei programmi, carenze nella valutazione dei progetti e nella selezione delle opere, frammentazione e sovrapposizione di competenze, inadeguatezza delle norme sull’affidamento dei lavori e sulle verifiche degli avanzamenti producono da noi opere meno utili e più costose che altrove”.
Dieci anni dopo Mario Draghi si trova alle prese con il secondo giro di consultazioni per dare vita ad un governo che ci traghetti fuori dalla crisi, verso una campagna vaccinale capillare e la presentazione di un Recovery Plan efficace. Sempre dieci anni dopo molto poco, per non dire nulla, è cambiato. Come racconta Repubblica, solo il 40% dei fondi strutturali europei del periodo 2014-2020 è stato speso, e non più del 6% del fondo per lo sviluppo e la coesione. Un anno fa Ance stimava 749 opere bloccate per un valore di 62 miliardi di euro. Ad oggi per un’opera di importo inferiore al milione di euro, ci possono volere anche cinque anni, mentre per quelle oltre i 100 milioni fino a quindici anni. Secondo i costruttori, di questo passo, al 2026 non si riuscirà a portare a termine più del 50% delle infrastrutture inserire da Conte nella sua bozza di Recovery Plan.
La colpa è data al codice degli appalti che in dieci anni è stato modificato 597 volte. Regole troppo complicate e non comprensibili ai più, innumerevoli passaggi interni, rischi di corruzione, questi sono solo alcuni elementi che hanno provocato l’accumularsi negli anni di pratiche bloccate.
Sempre Draghi nel 2006 sottolineò il “nodo irrisolto” del rapporto fra stato e regioni sulle infrastrutture strategiche. Inizialmente si è provato a seguire la strada del commissariamento come è successo con il nuovo codice degli appalti del 2016 che ne ha nominati ben 25 ma con scarsi risultati. Nel 2019 il decreto Sbloccacantieri doveva far ripartire le grandi opere pubbliche considerate urgenti come la lincea C della metropolitana di Roma, mentre per quelle minori sono state direttamente abolite le gare. L’aspetto ancor più grave è che il 70% dei ritardi e degli intoppi si verifica ancor prima della gara.
In questo mare magnum di ritardi, colli di bottiglia, infinità di passaggi, Mario Draghi cercherà di illuminare la strada, sperando di riuscire a fare quello in cui tanti governi fino ad ora hanno fallito.