Nei processi monocratici, su cento casi in cui la Procura decide di mandare a processo qualcuno, il 35% delle volte il primo appello si conclude con l’assoluzione. Ci sono dei picchi poi nei tribunali di Civitavecchia e Viterbo (45%), di Palermo, di Firenze e Milano (40%) e di Bari (41%).
Sono i dati raccolti a fatica dal Corriere della Sera, considerando che molti dei tribunali interpellati hanno dichiarato di non riuscire a reperire il dato, e altri non hanno proprio risposto.
Il dubbio lecito che emerge da questi numeri è che i pm agiscano in modo troppo sbrigativo, al fine di evadere quante più pratiche possibili, peccando di qualità ma puntando sulla quantità per fare avanzamenti di carriera.
Se si parla con i giudici, questi affermano che gli atti dei pm sono spesso firmati da parte dello staff, che non è sufficientemente preparato e istruito. A sentire i pm, invece, i giudici non sfrutterebbero tutti i loro poteri istruttori e integrativi. Inoltre, nelle cause monocratiche sono sempre più spesso i magistrati onorari a sostenere l’accusa.
Alla base di tutto vi è un problema fondamentale: la lentezza delle procedure. Più esiste un ritardo in un tribunale, più tardi vengono fissati i processi, più passa il tempo e si perde la piena consapevolezza dei testi.