“Chi cura non può essere fonte di rischio per i pazienti. Sarebbe un controsenso. Quindi di fronte a una patologia prevenibile, la vaccinazione deve essere un prerequisito per svolgere la propria attività”, lo sostiene Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le Malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma e membro del Cts.
Importante dunque che i medici siano tra i primi a vaccinarsi, essendo costantemente a contatto con possibili rischi e infezioni, compresa quella da Covid-19. Il professore ricorda al Corriere della Sera che, secondo i dati Inail, nei primi 9 mesi dall’inizio dell’epidemia “sono stati oltre 70.000 quelli che hanno contratto l’infezione, oltre il 70% delle segnalazioni di infortunio sul lavoro, più colpiti gli infermieri”.
Ippolito non esclude la sospensione per chi rifiuta la vaccinazione: “Il Testo Unico per la Sicurezza sul lavoro impone al datore di lavoro la valutazione del rischio per l’operatore e per gli altri e l’allontanamento temporaneo in caso di inidoneità alla mansione su indicazione del medico competente”, sostiene.
Il Professore è fermamente convinto che serve convinzione e non costrizione. “Come affermato anche dagli organi di governo, il vaccino non sarà obbligatorio. Ma questo non significa che ci possano essere attività, professionali e non, come per quelle degli operatori sanitari, per svolgere le quali sia richiesto il vaccino anche a tutela degli altri. Ancora una volta, pur non essendo esperto di fatti giuridici, credo sia necessaria una legge per sancire l’obbligo”.