A Pompei è stato ritrovato un termopolio intatto, una bottega dello street food. Qui i romani trovavano il nutrimento, coltivando i peccati di gola e mangiando prelibatezze. Il cibo però si mangiava veloce, in piedi, senza tavoli o spazi per sedersi. Il servizio era riservato ai banchetti serali.
Tra i punti del termopolio il più rinomato era quello di Asellina, che si trovava sulla via dell’Abbondanza, la via principale. Serviva olive, focacce schiacciate e brocche di vino. La sua specialità era la posca, una bevanda energetica e dissetante a base di acqua, uova e aceto. La si poteva bere al volo o alle caupone, una versione dell’epoca delle nostre trattorie, dotate di giardini dove si gustavano verdure di stagione, frutta, formaggi, pane.
Come racconta Repubblica che passa in rassegna tutti i piatti amati dai discendenti di Romolo, gli abitanti di Pompei erano grandi consumatori di zuppe a base di cereali e legumi, con spezie e aromi come il mirto, insaporite dal garum, una salsa di pesce. Questa veniva prodotta nelle officine gastronomiche di Pompei, era così famosa che aveva un costo proibitivo, ma il poeta Marziale la considerava ineguagliabile.
Un altro degli snack maggiormente consumati erano le fave, da mangiare in polenta o sotto forma di chips. A Pompei c’erano 35 panifici che vendevano 80 tipologie diverse di pane, dall’integrale a quello di farine di legumi, solitamente riservato agli schiavi, e quello bianco e finissimo, dedicato ai ricchi.
I romani erano poi amanti di pesce e frutti di mare, da vongole e patelle a lupini e ostriche, che venivano serviti sia cotti che crudi. Ma gradivano anche la carne con pernici, laccate, lepri salsate, salsicce grigliate.
Non mancava poi il dessert conclusivo con datteri farciti di noci, pinoli e pepe, salati all’esterno e “fritti” nel miele cotto, oppure la liba, una focaccia dolce.