I Dpcm del premier Conte sono “viziati da violazioni per difetto di motivazione e da molteplici profili di illegittimità”, lo ha dichiarato il giudice del Tribunale di Roma che si è espresso su un contenzioso con un commerciante da sfrattare per il mancato pagamento dei canoni a causa della chiusura imposta dal premier. I Dpcm sarebbero allora “caducabili” quindi annullabili. Non produrrebbero effetti reali, avrebbero natura amministrativa, ma non normativa.
Come racconta Il Giornale, il tribunale civile di Roma cita “tutti i Presidenti Emeriti della Corte Costituzionale, Baldassarre, Marini, Cassese” e afferma che non vi è alcuna legge ordinaria che permette al Consiglio dei ministri dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario, nello specifico sarebbe stato richiesto “un ulteriore passaggio in Parlamento diverso rispetto a quello che si è avuto per la conversione del decreto Io resto a casa e del Cura Italia e si tratta di provvedimenti contrastanti con gli articoli che vanno dal 13 al 22 della Costituzione e con la disciplina dell’art 77 Cost., come rilevato da autorevole dottrina costituzionale”.
Per essere validi i Dpcm, come atti amministrativi, devono essere motivati ai sensi dell’articolo 3 della legge 241/1990. Ogni volta il premier ha citato il Comitato tecnico-scientifico, ma per il tribunale le analisi del Cts sono state sempre mantenute riservate e rivelate solo a ridosso dei Dpcm.
Il Dpcm è un atto amministrativo che non può restringere le libertà fondamentali, ma viene legittimato da un atto che invece ha forza di legge. Dunque il giudice sostiene che sia contrario alla Costituzione prevedere norme che limitano i diritti fondamentali della persona mediante decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri.