È arrivato l’accordo dopo una lunga trattativa tra il governo, Invitalia e Arcelor Mittal. L’acciaio torna ad essere un’industria di stato. L’accordo prevede infatti un significativo impegno finanziario da parte dello Stato.
Quando Mittal ha cominciato a minacciare licenziamenti, il governo è prontamente intervenuto, dopo aver minacciato battaglie legali. Ciò ha consentito, come racconta il Giornale, a Mittal il taglio dei costi, il dimezzamento della penale per rottura del contratto di affitto dello stabilimento e l’ingresso dello Stato che si accollerà ora la metà delle perdite, circa 100 milioni di euro al mese.
Parallelamente ieri è stato assolto in appello Fabio Riva, che aveva rilevato l’ex Ilva ed era stato accusato di bancarotta.
L’accordo arriva tra molte tensioni. I sindacati sono stati tagliati fuori dalla trattativa e vogliono mantenere tutti i 10.700 posti di lavoro, c’è poi l’indotto delle associazioni dell’autotrasporto che è stremato dalla gestione dei franco-indiani e che ha minacciato di non proseguire l’attività se gli arretrati non vengono pagati.
L’intesa di ieri, inoltre, lascia presagire che dietro la riconversione ecologica dello stabilimento di Taranto ci sia una riduzione dell’impianto a semplice officina. L’azienda non avrebbe più un ruolo cruciale nel mercato e si perderebbe metà dei posti di lavoro.
Nel 2022 con un nuovo aumento di capitale da 800 milioni, lo Stato salirà al 60% delle quote, ma fino a quel momento Mittal dovrà gestire in modo equo e paritario tutti i suoi stabilimenti.