In Italia le scuole hanno chiuso i loro cancelli per 105 giorni solo durante la prima ondata, contro i 67 della Spagna, i 60 del Regno Unito e della Francia, i 53 della Germania, i 48 dell’Olanda. In alcuni paesi i ragazzi hanno continuato a frequentare ininterrottamente le scuole. L’Italia si è guadagnata, quindi, un triste primato: è il Paese in cui le scuole sono rimaste chiuse più a lungo durante la prima ondata.
E se potevamo sperare che la primavera scorsa avesse fatto da lezione e fossimo più preparati per la riapertura da settembre, così non è stato. Mancano i docenti, non funzionano gli ingressi scaglionati e, problema più grande, i ragazzi viaggiano verso la scuola su autobus stracolmi.
Sembra mancare la consapevolezza degli impatti della scuola chiusa: non esistono dati precisi, la cui mancanza non fa altro che aumentare i dubbi e la confusione, ma si può osservare ciò che è successo negli altri paesi. In Germania durante il lockdown gli studenti con voti più bassi hanno ridotto di quattro ore l’attività dello studio e hanno passato tre ore in più al giorno a guardare la televisione o giocare al pc.
In Olanda quasi tutti gli studenti hanno peggiorato il loro livello di apprendimento e nel 50% dei casi la tendenza è stata ancora più forte nei giovani con genitori poco istruiti.
Ancora in Belgio, il trend è stato il medesimo. È emerso dagli studi di Maldonado e De witte che gli studenti che hanno voti più bassi sono quelli meno autodisciplinati, che vivono in contesti più difficili e con genitori con basso livello di istruzione.
In Italia il coordinatore del Cts Miozzo da tempo chiede a gran voce la riapertura della scuola. Il timore che va via via facendosi sempre più grande è quello della ‘sindrome della capanna’ e quindi dell’isolamento dei giovani che passano più tempo davanti al pc e non incontrano più gli amici.