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Il Genovese che è in noi. Una storia di connivenze e impunità

Non vedo, non sento, non parlo. La serata del 10 ottobre in cui una 18enne, a Milano, è stata brutalmente violentata e seviziata da un uomo sotto l’effetto di droga è solo l’ultima di una lunga serie. Terrazza Sentimento ospitava i famigerati festini, all’insegna della trasgressione, almeno dal 2017: serate eccessive, con musica a decibel altissimi, fiumi di alcol, droga a volontà e sesso da contorno, baccanali dionisiaci dove tutto era ammesso, e ad accogliere gli ospiti alla porta non c’era il Trimalcione del Satyricon ma Alberto Genovese.

L’attico con vista sul Duomo di Milano e piscina a sfioro si trova nel pieno centro della città, in cima a un palazzo di sette piani, a pochi passi da una stazione dei Carabinieri e non distante da un commissariato di Polizia. Chi procurava le modelle (talvolta escort aspiranti tali) all’ex genio delle startup? E la droga come arrivava in queste serate sotto la volta celeste? Nessuno, al di là dei partecipanti, era al corrente di ciò che accadeva durante questi raduni dove si servivano cocaina e anfetamine sui piatti da portata, e dove, non di rado, faceva capolino qualche Vip per degustare le pietanze preparate da chef stellati?

Quella di Genovese è una storia di brutale violenza (le trenta pagine dell’ordinanza del gip fanno rabbrividire). A Milano l’ex bocconiano, d’origine napoletana, era un tipo chiacchierato, lui, il suo stile di vita, la consuetudine con la droga, la passione esagerata per le donne. E le donne che postavano sui social le foto alle sue feste e lo seguivano nelle serate alcoliche, come nelle vacanze alle Baleari, agivano consapevolmente, perché ci volevano stare, attratte dai soldi, dal giro esclusivo, dalla droga. Perché a Milano (non solo a Milano) in diversi ambienti la ricerca della cocaina, dello “sballo”, è un potente fattore attrattivo. Nelle parole del gip, che ha spedito Genovese a San Vittore, il corpo esanime della vittima, costretta a subire pratiche ai limiti della tortura per quasi ventiquattr’ore in una camera divenuta prigione, viene paragonato ad una “bambola di pezza” che l’uomo posizionava, adagiava, spostava a proprio piacimento. La stessa ragazza, alle pm che l’hanno interrogata, ha chiarito di aver assunto droga volontariamente.

Non vedo, non sento, non parlo. Soltanto adesso si scopre che negli ultimi due anni e mezzo i condomini esasperati del palazzo signorile avevano sporto tredici denunce cadute nel vuoto. Grida forsennate, rumori, musica altissima fino a tarda notte: i vicini non ne potevano più al punto che qualcuno ha preferito traslocare altrove. Se lo stato a cui chiedi aiuto non riesce a tutelarti, devi arrangiarti da solo. Chiamate alle forze dell’ordine, esposti, denunce hanno alimentato un fascicolo in procura e così si è giunti, secondo i pachidermici tempi della giustizia italiana, ad un processo che deve ancora iniziare. Nel frattempo le feste non si sono mai interrotte, neanche quando Milano era in lockdown, zona rossa, l’Italia era col fiato sospeso, gli italiani dovevano starsene sigillati in casa, ma in piazza Santa Maria Beltrade Genovese continuava indisturbato a ricevere i propri ospiti, nella totale impunità. Con i condomini che, nelle serate X, dovevano giustificarsi con il buttafuori per poter accedere alla propria abitazione. Non è una barzelletta, è una storia vera. C’è da pensare allora che tanta baldanzosa arroganza non fosse campata per aria: forse Genovese sapeva di poter agire indisturbato? Si sentiva protetto? E da chi? Neanche la prossimità delle forze dell’ordine in zona lo hanno fatto desistere fino allo scorso ottobre, quando la richiesta di aiuto di una 18enne, seminuda e con una scarpa soltanto, ha funzionato da game changer, anzi ha decretato il game over. La giostra si è fermata, Genovese, l’ex enfant prodige, ha abbandonato il Luna Park rosado che si era costruito, ed è finito in gattabuia. Quale che sarà l’esito del processo, resta il puzzle mefitico di connivenze e omertà incrociate. Fuori, liberi, sono rimasti quanti sapevano e facevano finta di non sapere.

Annalisa Chirico

Redazione

 

 

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