La giustizia italiana si è dovuta riadattare, e non con poca fatica, a vivere di smart working: processi a distanza, prenotazioni per recarsi alle cancellerie, camere di consiglio via web.
Se il processo amministrativo sembra riuscire a sopravvivere con queste modalità, non si può dire la stessa cosa dell’ala penale e civile. Le udienze sono state rinviate fino ad un anno e mezzo. Ieri hanno protestato a Napoli e a Milano.
I motivi del malcontento sono tanti: con le camere di consiglio da casa, non vi è più la totale segretezza e la sentenza è affidata ad un unico giudice. I faldoni dei processi penali sono pieni e pieni di pagine e non possono essere ‘duplicati’. I magistrati temono poi la poca sanificazione degli spazi comuni dei tribunali.
Persistono i problemi della cancelleria, che non può accedere da casa ai fascicoli, i pc abilitati sono pochi, meno della metà di quelli che servirebbero.
Nelle udienze da remoto, i pc in dotazione dei giudici sono sprovvisti di webcam o di una rete wifi stabile, i faldoni non esistono in formato digitale e il sito in cui depositare gli atti è andato in crash.
Ancora ce n’è da fare per poter garantire una giustizia veloce e senza intoppi ai tempi del Coronavirus.