La Birmania è tornata a votare domenica scorsa per la seconda volta dal 2011 quando finì formalmente la dittatura militare. A vincere è stata Aung San Suu Kyi della Lega Nazionale per la democrazia (Nld).
Lo spoglio delle schede non si è ancora concluso (richiederà ancora una settimana), ma il portavoce del suo partito ha fatto sapere che la 75enne ha raggiunto la maggioranza assoluta, guadagnando 322 seggi.
A gettare ombra sulla sua vittoria, però, i crimini ai danni del gruppo etnico dei Rohingya. Dal 2017, quando l’esercito ha cominciato attività molto dure di repressione dell’etnia, portando alla fuga di oltre 700mila profughi in Bangladesh, la leader non è intervenuta e non ha fatto niente per fermare la violazione dei diritti umani.
Ancor peggiore, Suu Kyi ha giustificato questa violenza, affermando che il gruppo dei Rohingya non esiste ed è composto solo da immigrati illegali.
Il clima nel Paese è cambiato e da quel momento sono iniziate le rivolte dei gruppi etnici, proteste di piazza e giornalisti arrestati.