Il primo settembre 18 marinai, a bordo di due pescherecci a largo della costa di Mazara del Vallo, sono stati sequestrati da militari libici e portati a Bengasi. Per giorni non si hanno avuto notizie, il 16 settembre è arrivata la chiamata del capitano Piero Marrone, che ha cercato di rassicurare i familiari. Il giorno dopo, il 17 settembre, il generale libico Haftar ha fatto sapere che i pescatori sono accusati di attività di pesca illegale e subiranno un processo. A inizio ottobre l’Onu ha dichiarato di non aver ricevuto richieste di aiuto da parte dell’Italia, mentre il governo assicura che sta lavorando per la liberazione dei marinai.
Le famiglie occupano da giorni la sala del Consiglio Comunale di Mazara del Vallo, altri parenti dormono in tenda davanti a Palazzo Chigi in segno di protesta. Si sentono abbandonati dallo Stato. Ritengono che i pescatori siano delle armi di ricatto e che se il ministro degli Esteri Luigi Di Maio andasse a parlare col generale Haftar verrebbero liberati. Hanno striscioni preparati a casa, ogni giorno fanno una diretta sul sito web del giornale «Prima Pagina Mazara» nella speranza che arrivi qualche informazione. Per ora però non c’è nessuna buona notizia e le famiglie sono sospese ed impotenti davanti a questa vicenda.
Il grido di dolore di una delle mogli
La moglie di Bernardo Salvo, uno dei 18 pescatori che non fa rientro a casa da più di un mese e mezzo, si è sfogata a La Stampa con un duro appello mentre passa le notti a Roma davanti a Montecitorio. “Siamo sfinite, a volte crolliamo, ma non molleremo. Non ce ne andremo finché non sapremo che i nostri cari sono salvi, in viaggio verso la Sicilia”, dice la donna che non ha saputo come spiegare ai tre figli che il papà è stato arrestato mentre faceva il suo lavoro. “Capisco – continua – che la trattativa è complessa, voglio credere che si stia facendo tutto il possibile, come hanno detto Conte e Di Maio”, ma ormai di tempo ne è passato e le famiglie vogliono solo che i loro cari facciano rientro a casa.