1.6 milioni di dipendenti della Pubblica Amministrazione si sono ritrovati a lavorare in smart working durante l’emergenza sanitaria. Solo 800 mila sono rientrati in ufficio quando il periodo di lockdown si è concluso e le attività hanno gradualmente riaperto.
Con il nuovo Dpcm, almeno il 50% dei lavoratori della Pa dovrà svolgere le proprie funzioni da remoto. Nel settore privato non è stato stabilito alcun tetto minimo, ma è comunque fortemente raccomandato lo smart working.
Se durante il lockdown, il 90% dei dipendenti della Pubblica Amministrazione ha lavorato da casa, ora viene garantito che non oltre il 60% dei lavoratori sarà reperibile da remoto. Lo chiarisce il ministro della Pa Fabiana Dadone a Radio 1. La fase precedente è stata di “smart working emergenziale” per garantire i servizi ad un Paese totalmente fermo. Ora che le imprese sono aperte, viene escluso di tenere un numero più alto di lavoratori in smart working.
Questa modalità di lavoro continua a non mettere d’accordo tutti. Secondo l’Osservatorio Nomisma-Crif il 28% degli smart worker non è soddisfatto, in quanto lavora più ore e non riesce a scindere la sfera lavorativa da quella privata. Il 62% degli intervistati si dichiara nel complesso favorevole a proseguire con questa modalità di lavoro anche a emergenza sanitaria conclusa.
Resta da capire quando effettivamente la Pubblica Amministrazione farà rientro nelle proprie sedi e quanto ritornerà ad una modalità di lavoro semi “normale”.